martedì 15 dicembre 2015

La morte dello “striscino”

 
La Garfagnana, nell’ultimo millennio, è sopravvissuta coltivando la terra e producendo prodotti agricoli, ma in piccola percentuale, se si escludono la zootecnia, le castagne e il vino.
Quest’ultimo, in particolare, veniva prodotto nei vigneti di tutta la Garfagnana, dalle parti più basse, lungo il fiume Serchio, fino a ottocento metri sul livello del mare.
Documenti storici ci riportano questa coltivazione già avanti l’anno mille, ma il suo maggior sviluppo si ha intorno agli inizi del 1800. In quel periodo, ovviamente, non si faceva produzione di qualità come oggi, ma di quantità, per diversi motivi e principalmente perché la maggior parte delle varietà di uve era del tipo selvatico. Inoltre, l’attività contadina era a mezzadria e quindi il contadino doveva spartire metà prodotto con il padrone del fondo.
Quindi le viti dovevano produrre il più possibile e ovviamente il vino ottenuto era di basso volume alcolico, anche di 6-8 gradi, per questo veniva chiamato “striscino”, e stava a significare che, da tanto era di bassa gradazione, “strisciava per terra”. Non solo, ma i contadini, alla vinaccia strizzata delle uve, aggiungevano l’acqua e, strizzandole per la seconda volta, ottenevano la cosiddetta “vinella” (acqua colorata con un poco di sapore di vino, usata anche per la cosiddetta “vinata”).
Oggi ovviamente tutto questo non si fa più, anche perché di vino se ne produce ormai poco, sia nel nostro Comune che in tutta la Garfagnana, e principalmente per uso proprio, inoltre sono cambiati i tipi di vitigni, con uve a maturazione precoce e con alti tenori di zuccheri, che danno al vino gradazione, profumi e sapori molto apprezzabili.
Ma parlando di giovani che hanno fatto ritorno all’agricoltura nel nostro Comune possiamo dire con grande soddisfazione di avere nel settore vitivinicolo un giovane che ha dato un grande prestigio e al Comune di Gallicano e alla Garfagnana.
Sono andato a trovarlo, è Gabriele Da Prato di Concori Ponte di Campia.
Conduce un’attività vitivinicola e produce un vino oggi affermato in tutto il mondo. Gli ho chiesto come ha fatto ad avventurarsi in un settore così complicato e difficile come la viticoltura, specialmente in una valle come la nostra dove nessuno prima di lui aveva investito in questo settore. Ecco il suo bellissimo commento: “Ho avuto sempre la passione del produrre vino fin da bambino, tramandata da mio nonno a mio padre, ma in quei tempi non si pensava a fare prodotti di qualità. Poi tutto prese una svolta nell’anno 1999, quando incontrai un grande enologo come Saverio Petrilli della tenuta di Valgiano.
Con lui ho visitato vigneti e cantine in Francia, in Svizzera e Germania, osservando pregi e difetti, e a tal punto da essere più che convinto del mio intento, e nel 2000 sono partito con un progetto. Da un lato recuperare quei suoli e quei terrazzamenti che mio padre non aveva più le forze per gestire, e dall’altro riuscire a portare, in dieci anni, il vino di Concori sui tavoli della Toscana e dell’Italia. Poi nel 2002 ho iniziato una coltivazione biodinamica e questo ha confermato il mio percorso, dando più risorse naturali al vigneto con risultati eccellenti”.
Ho poi chiesto a Gabriele se oggi avrebbe fatto il suo vigneto con i nostri vitigni autoctoni garfagnini. “Quindici anni fa no senz’altro perché ancora non c’erano studi sui nostri vitigni – mi ha risposto -. Oggi potrebbe essere fatto, supportato dagli studi e dalle ricerche universitarie”. Come sei riuscito ad arrivare ad un mercato internazionale di alto livello? “Con grande sforzo e con la qualità.
Il primo riconoscimento è stato con Veronelli, e là sono rientrato nei migliori dieci vini emergenti italiani nel 2003, ma ancora c’era molto da lavorare. Sono stato premiato Chiocciola Slow Food per due anni di seguito e ho ottenuto molti altri riconoscimenti”. Infine gli ho chiesto come vede il futuro, sia a livello fiscale, di normative, che di cambiamento del clima (anche considerando le calamità naturali sempre più frequenti).
“Purtroppo ti devo dire che siamo abbandonati a noi stessi; le vicende del vento del cinque marzo, l’alluvione di ottobre del 2013 hanno messo veramente in ginocchio specialmente chi fa agricoltura.
L’agricoltura non si può delocalizzare, cioè domani non posso dire chiudo la vigna e la porto, per dire, in Romania, noi viviamo qui, ed è qui la fonte del nostro reddito.
Pertanto credo ci dovrebbero essere dei tavoli di confronto, per venirci incontro almeno con un minimo di aiuti, non solo nei periodi elettorali, ma anche in questi momenti difficili: dovrebbero venirci a trovare per vedere con i loro occhi le difficoltà di noi contadini.
Da parte mia cercherò di continuare nella strada della qualità del prodotto, fino a che potrò resistere”.
 
Ivo Poli
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.

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