giovedì 31 dicembre 2015

"L'Aringo -il giornale di Gallicano" augura a tutti i suoi lettori un felice 2016 !!!

"L'Aringo -il giornale di Gallicano" augura a tutti i suoi lettori un felice 2016, che sia un anno pieno di soddisfazioni per tutti. Un anno questo che ci vedrà ancora di più protagonisti nel panorama culturale gallicanese. Convinti del vostro sostegno auguriamo ancora a tutti pace, serenità e salute.



giovedì 24 dicembre 2015

Buon Natale e Felice Anno nuovo

E' stato il primo anno di vita, il giornale l'Aringo ha visto la luce di maggio e siamo arrivati a quattro numeri. La redazione è felice di essere riuscita a raggiungere l'obiettivo prefissato per questo 2015, ma è anche caparbiamente impegnata a fare meglio per il futuro. 
Ringraziamo i lettori per l'attenzione, i soci dell'associazione l'Aringo, ma soprattutto tutti gli sponsor, senza i quali l'Aringo non potrebbe mai essere nato. 
 Nella speranza che l'Aringo abbia una lunga vita, la Redazione augura Buon Natale e Felice Anno nuovo. 

Arrivederci a marzo 2016.

venerdì 18 dicembre 2015

In uscita il nuovo numero natalizio de "L'Aringo"

Ecco il numero natalizio de "L'Aringo", un numero dedicato in buona parte al Natale. In prima pagina la Fiaccolata Natalizia e poi ancora numerosi articoli su storia, tradizioni, curiosità e quant'altro, in più un gradito omaggio della redazione a tutti i suoi lettori: il calendario double face 2016 firmato "L'Aringo il giornale di Gallicano".

 Da domani in tutte le case di Gallicano!


martedì 15 dicembre 2015

La morte dello “striscino”

 
La Garfagnana, nell’ultimo millennio, è sopravvissuta coltivando la terra e producendo prodotti agricoli, ma in piccola percentuale, se si escludono la zootecnia, le castagne e il vino.
Quest’ultimo, in particolare, veniva prodotto nei vigneti di tutta la Garfagnana, dalle parti più basse, lungo il fiume Serchio, fino a ottocento metri sul livello del mare.
Documenti storici ci riportano questa coltivazione già avanti l’anno mille, ma il suo maggior sviluppo si ha intorno agli inizi del 1800. In quel periodo, ovviamente, non si faceva produzione di qualità come oggi, ma di quantità, per diversi motivi e principalmente perché la maggior parte delle varietà di uve era del tipo selvatico. Inoltre, l’attività contadina era a mezzadria e quindi il contadino doveva spartire metà prodotto con il padrone del fondo.
Quindi le viti dovevano produrre il più possibile e ovviamente il vino ottenuto era di basso volume alcolico, anche di 6-8 gradi, per questo veniva chiamato “striscino”, e stava a significare che, da tanto era di bassa gradazione, “strisciava per terra”. Non solo, ma i contadini, alla vinaccia strizzata delle uve, aggiungevano l’acqua e, strizzandole per la seconda volta, ottenevano la cosiddetta “vinella” (acqua colorata con un poco di sapore di vino, usata anche per la cosiddetta “vinata”).
Oggi ovviamente tutto questo non si fa più, anche perché di vino se ne produce ormai poco, sia nel nostro Comune che in tutta la Garfagnana, e principalmente per uso proprio, inoltre sono cambiati i tipi di vitigni, con uve a maturazione precoce e con alti tenori di zuccheri, che danno al vino gradazione, profumi e sapori molto apprezzabili.
Ma parlando di giovani che hanno fatto ritorno all’agricoltura nel nostro Comune possiamo dire con grande soddisfazione di avere nel settore vitivinicolo un giovane che ha dato un grande prestigio e al Comune di Gallicano e alla Garfagnana.
Sono andato a trovarlo, è Gabriele Da Prato di Concori Ponte di Campia.
Conduce un’attività vitivinicola e produce un vino oggi affermato in tutto il mondo. Gli ho chiesto come ha fatto ad avventurarsi in un settore così complicato e difficile come la viticoltura, specialmente in una valle come la nostra dove nessuno prima di lui aveva investito in questo settore. Ecco il suo bellissimo commento: “Ho avuto sempre la passione del produrre vino fin da bambino, tramandata da mio nonno a mio padre, ma in quei tempi non si pensava a fare prodotti di qualità. Poi tutto prese una svolta nell’anno 1999, quando incontrai un grande enologo come Saverio Petrilli della tenuta di Valgiano.
Con lui ho visitato vigneti e cantine in Francia, in Svizzera e Germania, osservando pregi e difetti, e a tal punto da essere più che convinto del mio intento, e nel 2000 sono partito con un progetto. Da un lato recuperare quei suoli e quei terrazzamenti che mio padre non aveva più le forze per gestire, e dall’altro riuscire a portare, in dieci anni, il vino di Concori sui tavoli della Toscana e dell’Italia. Poi nel 2002 ho iniziato una coltivazione biodinamica e questo ha confermato il mio percorso, dando più risorse naturali al vigneto con risultati eccellenti”.
Ho poi chiesto a Gabriele se oggi avrebbe fatto il suo vigneto con i nostri vitigni autoctoni garfagnini. “Quindici anni fa no senz’altro perché ancora non c’erano studi sui nostri vitigni – mi ha risposto -. Oggi potrebbe essere fatto, supportato dagli studi e dalle ricerche universitarie”. Come sei riuscito ad arrivare ad un mercato internazionale di alto livello? “Con grande sforzo e con la qualità.
Il primo riconoscimento è stato con Veronelli, e là sono rientrato nei migliori dieci vini emergenti italiani nel 2003, ma ancora c’era molto da lavorare. Sono stato premiato Chiocciola Slow Food per due anni di seguito e ho ottenuto molti altri riconoscimenti”. Infine gli ho chiesto come vede il futuro, sia a livello fiscale, di normative, che di cambiamento del clima (anche considerando le calamità naturali sempre più frequenti).
“Purtroppo ti devo dire che siamo abbandonati a noi stessi; le vicende del vento del cinque marzo, l’alluvione di ottobre del 2013 hanno messo veramente in ginocchio specialmente chi fa agricoltura.
L’agricoltura non si può delocalizzare, cioè domani non posso dire chiudo la vigna e la porto, per dire, in Romania, noi viviamo qui, ed è qui la fonte del nostro reddito.
Pertanto credo ci dovrebbero essere dei tavoli di confronto, per venirci incontro almeno con un minimo di aiuti, non solo nei periodi elettorali, ma anche in questi momenti difficili: dovrebbero venirci a trovare per vedere con i loro occhi le difficoltà di noi contadini.
Da parte mia cercherò di continuare nella strada della qualità del prodotto, fino a che potrò resistere”.
 
Ivo Poli
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.

sabato 12 dicembre 2015

Il terremoto del 7 settembre 1920 - Dal diario dello Zampogna

Dal diario dello Zampogna



Il giorno 7 di settembre 1920 alle ore 7 e minuti 56 del mattino, venne in tutta la Garfagnana e Lunigiana una violentissima scossa di terremoto, che devastò tutti i paesi. Facendo crollare case, nelle quali rimasero parecchie vittime. 
Tanta della popolazione, al momento del terremoto, era fuori ai lavori della campagna, e per questo pochi furono i morti in tutta la zona del terremoto.
Se fosse avvenuto questo 3 o 4 ore prima i morti sarebbero stati a migliaia perché molte furono le case rase al suolo, mio padre e mia madre così dicevano: per quanto ne sappiamo noi è stato proprio il lavoro dei campi che ha risparmiato tante vittime altrimenti sarebbe stato un disastro, e sempre avevano qualcosa che concludeva. 
Vedete che qualche volta Dio s’è ricordato anche di noi poveri bifolchi? 
Il lavoro delle campagne fa alzare presto al mattino, e mentre tu lavori sopra di te c’è Dio, il celo (cielo, ndr) e loro non ti vengono addosso.

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.

lunedì 30 novembre 2015

Il Buffardello, storia e origini del folletto garfagnino

Un movimento improvviso, un frusciare di foglie, un rametto che si spezza... Succedeva così che il ripetersi casuale di certe situazioni, l’avverarsi di un sogno, avvenimenti particolari che non era possibile riportare in uno schema logico contribuissero nei secoli passati alla nascita di superstizioni particolari legate ad esseri fantastici, burloni e dispettosi. Anche la Garfagnana ha il suo essere fantastico: è il buffardello, presente in maniera forte nella nostra tradizione popolare e in tanti racconti che venivano narrati “a veglio” accanto al focolare.
Ma chi era il buffardello? Cosa dicono le tradizioni? Guardiamo un pò.
Il buffardello generalmente era indicato come un ometto di una settantina di centimetri con la barba lunga e appuntita, simpatiche scarpe aguzze ed un vestito rosso scarlatto. Coloro che lo hanno... visto lo descrivono non brutto di faccia, non mancherebbe affatto di una certa eleganza. Ben più sinistra invece è la sua origine: il “Grillorosso” (n.d.r: al secolo Alfezio Giannotti, studioso di tradizioni locali e autodidatta di Eglio) in un articolo del 1928 su “La Garfagnana” dice che secondo tradizione il buffardello avrebbe partecipato più di un milione di anni fa insieme a Lucifero ed Arael e mille altri alla detronizzazione di Dio.
Dopo tre giorni di strenue battaglie ebbe le mani forate da un fulmine e una pedata fortissima ricevuta nel didietro lo fece ruzzolare dalle soglie celesti e giunse così sulla terra. Lucifero ed Arael furono relegati negli inferi, mentre egli, magro e piccolino, rimase nascosto e sconosciuto sulla terra a rompere gli occhiali ai preti, a far dispetti alle zitelle e marachelle varie ai contadini. In alcuni casi si presenta con un turbinio di foglie di notevole forza capace di scompigliare ogni cosa. È bene avvisare inoltre che ama la notte: è infatti nelle ore più buie e silenziose che mette in pratica tutte le sue diavolerie. Fra le vittime preferite vi erano i poveri preti: si racconta che in alcuni casi si accaniva sull’aspersorio (lo strumento che il prete usa per benedire) spelacchiandolo tutto, lasciando il manico d’ottone tondo e pelato.
Un parroco della parrocchia di Gallicano (lungi da me dal farne il nome...) giurava e spergiurava, raccontandolo in maniera alquanto animata, di quando se lo trovò durante la notte che gli girava intorno al letto cantandogli la messa da morto.
Mai però era dannoso nel vero senso della parola, era a ogni buon conto esasperante fino all’inverosimile. Lo sapeva bene quel contadino della Pontavilla (località di Gallicano) che trovava nella sua stalla le code delle mucche e i crini dei cavalli intrecciati, e ancor meglio quei poveri marito e moglie che possedevano solo due vacche, una ingrassava a vista d’occhio, mentre l’altra deperiva quasi fino alla morte: ebbene si scoprì che il buffardello la notte toglieva il fieno dalla mangiatoia della vacca magra per darlo a quella grassa.
Che dire sennò delle case trovate con la mobilia sottosopra e i quadri cambiati di posto? Le canoniche poi erano il suo divertimento… Anzi direi di leggere direttamente da chi lo ha “visto”.
Questa è una testimonianza del secolo scorso:
Non v’era dispetto che il maledetto non tentasse ai miei danni. Mi spargeva il sale fra le lenzuola, mi nascondeva la fiaschetta della polvere da caccia. Una volta tentò di farmi ruzzolare in cantina smuovendo le assi del pavimento e poi la notte non mi fa dormire nemmeno un’ora, lo sento aggrapparsi alle coperte, palpeggiarmi tutto, un senso di oppressione infinita che mi toglie forze e respiro...”.
Infine per chi lo dovesse vedere o sentire questi sono gli antidoti: mettere fuori dalla porta un ramoscello di ginepro (il folletto impegnato a contare le bacche si dimenticherà della persona da molestare), o in alternativa preparare una camicia bianca ai piedi del letto con le maniche disposte a croce (infastidito dalla riproduzione cristiana scapperà a gambe levate...).

Paolo Marzi
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.

giovedì 26 novembre 2015

L'Aringo numero 3 - versione digitale

In attesa dell'ultimo numero dell'anno 2015, postiamo per tutti la versione digitale del numero 3.
Buona lettura! 



giovedì 12 novembre 2015

La grande guerra - Storia e memoria del fronte Alpino


Un appuntamento molto interessante il 27 novembre alla sala Guazzelli a Gallicano: "La Grande Guerra, storia e memoria del fronte alpino". 

A 100 anni dalla scoppio della I Guerra Mondiale una serata per ricordare e non dimenticare quei tragici anni. Un evento fatto di poesia, teatro, canti e immagini, organizzato dal comune di Gallicano e altre associazioni fra le quali "L'Aringo - Il giornale di Gallicano".

martedì 10 novembre 2015

Silvano Valiensi, la cultura popolare di un artista garfagnino.

Amare la Garfagnana vuol dire assaporare quella magica essenza intrisa di ricordi,
profumi e sapori di un tempo che fu; ogni angolo, anche il più remoto, emoziona
e rimanda ad un passato che sarà sempre parte integrante della nostra vita.
Silvano Valiensi è stato uno dei massimi esponenti del filone “cultural popolare”
che permette alla Garfagnana, quella vera e verace, di sopravvivere. Le sue poesie
aprono un varco temporale riuscendo a proiettarci nell’orizzonte degli eventi,
dove riscoprire le nostre radici. Immergendoci nelle sue parole, a volte dissacranti
e ironiche, altre volte serie e malinconiche, dipingiamo un quadro antico dove
ogni sfumatura regala emozioni e ricordi. Maestro buono ma risoluto, come lo
erano gli insegnanti elementari del passato, Valiensi amava la poesia ma i piccoli
capolavori rimanevano spesso racchiusi nel suo prezioso cassetto, evidenziando
una modestia senza tempo. L’importanza dei libri, pubblicati postumi, dimostra
quanto la memoria del passato sia essenziale per guardare il futuro, e porta alla
luce un artista popolare di alto spessore che nobilita l’essenza stessa di Gallicano
e della Garfagnana.
                                                                                                Simone Alex Sartini


Gallicano nel vento

Silvano Valiensi
Vogliamo mandarti questa cartolina,
che ti porti laggiù in terra lontana,
una carezza della tramontana,
che soffia a Gallicano stamattina.
Il cielo è terso, e azzurro di cobalto,
il fumo, appena uscito dai camini,
si disperde nel vento. Gli Appennini,
bianchi di neve guardano dall’alto
la valle triste. Un albero sottile
trema di freddo tutto intirizzito,
la Pania s’è cambiata, ormai, il vestito;
martella il tempo il vecchio campanile.
Le selve, in alto, sono tutte spoglie,
insieme al bosco, tetro e mal ridotto,
arruffato, saltella un passerotto,
fra i tralci delle viti senza foglie.
E soffia, soffia, questo vento pazzo:
s’insinua per le strade del Colletto,
per il Castello va di tetto in tetto,
e corre dalla Mandria a Carpinazzo.
Passa gente sul Ponte, incappucciata,
rasenta il muro e tira via di fretta;
c’è per tutti, accogliente, che li aspetta
una bella stanzetta riscaldata.
Noi…restiamo all’aperto sotto il sole,
perché vogliamo parlare con il vento...
e lui ci ascolta e par che sia contento,
nel sentirsi affidar queste parole:
Se per caso tu arrivi nell’Australia,
dove c’è un nonno con una nipotina
che gioca in mezzo a un parco ogni mattina,
portagli tanti baci dall’Italia.

Silvano Valiensi

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1, Maggio  2015. "Speciale Palio di San Jacopo"

martedì 27 ottobre 2015

Palio di San Jacopo: come sono nati i colori dei Rioni

I primi tentativi nel dopoguerra di rinverdire le antiche tradizioni di Gallicano, furono rivolti soprattutto alle mitiche staffette podistiche che già si svolgevano prima della guerra. 
I ricordi personali mi riportano al 1956 quando partecipai ad una corsa che oggi sembrerebbe inusuale. La competizione aveva luogo al termine della processione di San Jacopo che si svolgeva nel cuore del paese, nella centralissima Via Cavour. 
Il viadotto della Turrite ancora non esisteva ed il percorso degli atleti si sviluppava “ad andata e ritorno”. Infatti i primi staffettisti partivano “sul ponte” imboccando via Cavour fino all’allora negozio Poli, qui il cambio del testimone: avveniva frontalmente e appena ricevuta la torcia luminosa del compagno che lo incrociava, il secondo atleta partiva in senso contrario e dando il cambio successivo sul ponte, gli ultimi staffettisti tagliavano il traguardo davanti al municipio. 
I cambi erano particolarmente difficoltosi perchè, con tratti così brevi, i corridori erano sempre abbastanza vicini ed i quattro in partenza andavano incontro ai quattro compagni in arrivo. 
Si può immaginare la confusione che si verificava, considerando che non c’erano corsie e l’illuminazione era abbastanza carente all’epoca. 
Personalmente ricordo di essere stato investito da un avversario alla partenza, con caduta del testimone che recuperai velocemente, soprattutto non ho mai dimenticato quando arrivai al cambio “dal Poli” in salita con uno degli avversari che, partendomi di fronte in discesa, mi stese al suolo. 
Una delle particolarità di allora era che non esistevano suddivisioni rionali definite e partecipavano numerosi gruppi scelti fra singole località. 
C’erano i rappresentanti di Via Cvour, del Colletto, del Castello, del Muretto, della Mandria, di Via Serchio e così via; tant’è vero che nella stessa serata si svolgevano le fasi elimintatorie e la finale. 
Negli anni successivi, almeno saltuarmente continuò la tradizione della staffetta che cambiò però sfidanti e percorsi. 
Dopo la realizzazione della Via della Repubblica la gara diventò più lunga ed i cambi avvennero regolarmente, trasferendosi nella parte più nuova del paese, con l’arrivo davanti a “Villa Simonini”; la sfida era però soprattutto fra Gallicano ed i paesi vicini, storici avversari. Fino a quando, alla fine degli anni sessanta, l’allora Sindaco dottor Gastone Lucchesi si fece promotore della costituzione del “Comitato per i festeggiamenti di San Jacopo”. 
Il Comitato, che mi volle Presidente, si impegnò in varie manifestazioni, fra cui ebbe spicco un singolare ed apprezzato concorso ippico, ma soprattutto fu ripristinata l’antica tradizione della staffetta paesana. 
Fu in quel periodo che si iniziò a dare un certo ordine alla suddivisione del paese in rioni, che trasse in parte ispirazione dalle antiche contrade di Gallicano. 
Nacquero così quasi spontaneamente, ma già con un certo spirito di sfida, la Roccaforte, la Strettoia, i Bufali e la Dinamite (diventata dopo poco tempo il Monticello). 
Anche il percorso divenne quello attuale, dato che nel frattempo era stato realizzato il viadotto sul torrente Turrite. 
E’ divertente a questo punto ricordare come avvenne la scelta dei colori rionali: qualche giorno prima della manifestazione con altri componenti del Comitato, mi ritrovai, come succedeva frequentemente, presso l’orologeria dell’amico Gualtiero Ponziani, in piazza Vittorio Emanuele, anche lui membro del Comitato. 
In quell’occasione fu rilevato che i rioni non disponevano di un abbigliamento decoroso per gareggiare, così mi recai nel magazzino di Frida Simonini per reperire il necessario; servivano delle cannottiere colorate per distinguere i diversi rioni. 
Fu abbastanza semplice trovare quattro magliette azzurre, quattro verdi, quattro rosse, ma poi quelle colorate erano esaurite e non rimase che prenderne quattro bianche. Tornato in piazza con le cannottiere da assegnare, furono fatti quattro biglietti, ciascuno indicante un colore ed altrettanti con i nomi dei rioni, inseriti in due scatole e chiamato un bambino che passava davanti al negozio del Ponziani, gli facemmo estrarre gli abbinamenti. 
Nessuno ha mai ricordato chi fosse questo piccolo inconsapevole bambino che ha dato il via ad un appassionato attaccamento ai colori rionali. Le manifestazioni di san Jacopo hanno iniziato però ad assumere un’altra veste ed un’altra importanza dagli inzi degli anni settanta, quando fu fondata la Proloco. 
Il nostro paese incominciò a vivere fasi entusiasmanti in particolare nell’ambito del folklore, nella cura dell’immagine e nel recupero delle tradizioni. Era cresciuto l’orgoglio ed il senso di appartenenza al rione, oltre al forte sentimento con cui la popolazione viveva la serata della staffetta. 
I rioni iniziarono fin dal giorno precedente la “Luminara” a scorazzare per il paese con stravaganti figure e sorprendenti marchingegni che esaltavano il proprio rione deridendo gli altri. 
A Sant’Andrea, con Giuliano Brogi, avevamo rivestito di cartone l’Ape di Roberto Biagi, dipingendola e colorandola in modo da assomigliare all’arco conosciuto come “Arco di Francesco V duca di Modena”. 
La realizzazione era stata appositamente eseguita in un’aia adiacente alla strada di Sant’Andrea (l’Aia del Palletta), in modo da esser vista da chiunque per stimolare la creatività degli altri rioni. 
Queste iniziative rionali ebbero un tale successo che spinsero la Proloco nascente a far confrontare i rioni con il loro spirito creativo, la capacità realizzativa ed il grande impegno di tantissimi che hanno portato il Palio nel suo complesso, all’attuale straordinario successo. 

Pierluigi Angelini

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2, luglio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"

martedì 13 ottobre 2015

Gli auguri del Sindaco

 
Con estremo piacere do il benvenuto a L’Aringo, questo nuovo mezzo di informazione che si propone di diffondere notizie, aneddoti e curiosità riguardanti l’intero comune di Gallicano:
racconterà le novità, ma avrà uno sguardo attento anche sul passato e sulle nostre tradizioni.
Da subito l’amministrazione comunale ha accolto questo progetto che rientra a pieno titolo nel programma di diffusione dell’informazione e della comunicazione che abbiamo proposto ai Gallicanesi.
Sono felice di sapere che ci sono persone, ricche di curiosità e competenze, che finalmente hanno voglia di portare nelle case di ogni famiglia Gallicanese quanto di interessante c’è da raccontare sul nostro territorio.
Auguro al gruppo di collaboratori de L’Aringo di allargarsi sempre più e che la distribuzione riesca a varcare le soglie del nostro comune.
Ci sono molti compaesani che vivono lontano da qui e che saranno molto lieti e grati di ricevere questo “giornalino paesano” che li aiuterà a sentirsi vicini e a mantenere i legami con le proprie origini.
 
David Saisi – Sindaco di Gallicano
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

domenica 11 ottobre 2015

La Pietra Miliare del Palio: la Proloco


Sicuramente non ci sarebbe stato il Palio di San Jacopo così come lo conosciamo oggi, se non fosse nata a Gallicano la Proloco a cui dobbiamo rendere il merito, insieme ai Rioni, per aver dato lustro e continuità a questa manifestazione . La prima Proloco nacque nel 1971 sotto la spinta di un’aria nuova che si respirava in quegli anni, anni caratterizzati da una rivoluzione economica culturale che si era estesa in tutta Italia, arrivando anche a Gallicano, piccolo paese di provincia dall’animo certamente passionale e vivace, ma con pochi mezzi. 
I soci fondatori della Proloco erano Gallicanesi Doc che capirono le esigenze di una comunità che si voleva sfidare e divertire, e dopo l’idea di competizioni sportive, inventarono il Palio. Erano in tanti, pieni di voglia di fare, e a braccio, visto che i documenti di allora non si trovano più, ne ricordiamo alcuni, Renzo Adami, Gualtiero Ponziani, Silvano Valiensi, Gabriello Simonini, Pierluigi Angelini, Pietrantonio Greco, Moni Donato, il sindaco Gastone Lucchesi, e tanti tanti altri. Nella relazione del primo anno si legge che “l’attività si è particolarmente orientata verso l’organizzazione di manifestazioni folkloristiche, sportive e di carattere vario, anche se, nello stesso tempo non è mancato l’interessamento verso gli Enti competenti per sollecitare la realizzazione delle opere atte al miglioramento ambientale per le quali avevamo preventivato la nostra attenzione”. 


Ancora oggi, è il leitmotiv dell’Associazione, che numerose persone nel tempo, hanno portato avanti, mantenendo l’amore per il territorio e lo spirito goliardico e competitivo di una comunità tutta; hanno continuato imperterrite a lavorare per questa nostra terra e soprattutto per il Palio, che ha dello straordinario pensando all’esiguità della popolazione; in quarant’anni di vita, nonostante difficoltà economiche e contingenti, la Proloco ha svolto un lavoro immane, e insieme ai volontari dei rioni, è riuscita a far sì che il Palio di San Jacopo diventasse quello che conosciamo oggi, uno spettacolo che non ha eguali nella valle, conosciuto e amato da migliaia di persone, che puntualmente arrivano da molte località nelle piazze di Gallicano nelle due fantastiche sere di luglio. 
Il nostro grazie va ad un numero sconfinato di persone che amavano e amano questo nostro paese, dal primo Presidente Renzo Adami all’odierno Sandro Giannoni, non dimenticando Pietrino Fabbri, Valter Vanni, Carlo Della Nina, Umberto Mucci, Guido Montagnani, Luca Landi, Pietrantonio Greco. 


"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2, luglio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"

mercoledì 30 settembre 2015

Gallicanesi nel Mondo: Piero e Liliana

Piero Toti era un baldo giovane di Turritecava che nel 1939, alla tenera età di dodici anni, lavorava come barcaiolo trasportando le persone da Turritecava a Ponte all’Ania.
Nel 1941 le due sponde furono collegate da un ponte in cemento e, complice una piena che spazzò via la piccola barca, Piero decise di andare a lavorare alla SMI. Dopo circa tre anni i tedeschi presero la dirigenza dello stabilimento e i più giovani furono spediti a lavorare pesantemente in Pianse. Pierino resistette poco a quel trattamento e un giorno decise di fuggire; scappò gambe levate in un burrone dormendo sopra rocce e sprocchi. Finita la guerra aiutò l’esercito a bonificare la zona dalle bombe e lavorò per i soldati americani. La svolta della vita di Piero arrivò tramite un suo parente che lo fece andare a lavorare alla Croce di Malta, uno dei migliori alberghi di Lido di Camaiore, come tuttofare.
Da Lido di Camaiore andò a Firenze in un albergo della stessa proprietà, continuando a lavorare senza sosta. Nel 1951 la decisione più importante della sua vita: vado in Australia. Un viaggio lunghissimo in nave, un mese, partendo da Genova e attraversando il Canale di Suez con una sola sosta per scaricare tonnellate di patate che il Papa aveva inviato ai bisognosi. La nave, enorme, era dell’esercito americano che finita la guerra aveva lasciato in Italia; faceva parte della Flotta Lauro e il suo nome italianizzato era “Siurrento”, anche se molti la chiamavano “Sorrento”. In Australia Pierino aveva sua sorella che lo aspettava e tutti e due abitavano in una pensione, visto che in quel periodo non c’erano assai case per tutti. Il primo lavoro che riuscì a trovare fu in una fabbrica di mille operai che produceva macchinari agricoli. Essendoci molto lavoro si poteva facilmente cambiare aria e Pierino finì a lavorare per la General Motors, ma, non amando troppo stare al chiuso, iniziò a cercare un’altra ditta che potesse assumerlo.
La possibilità arrivò con la MP Petrolio Installation, una compagnia legata alla Shell che poteva veramente dare la sicurezza e la stabilità, oltre ad un buon stipendio; Piero provò a fare domanda, con il suo inglese stentato, credendoci poco, ma in fondo non aveva molto da perdere. La sua tenacia fu premiata e la MP Petrolio Installation lo assunse per costruire e fare manutenzione delle stazioni di rifornimento. Il carattere e la continua ricerca di migliorarsi però non tardarono ad emergere, ed anche in questo caso non si accontentò ma decise di mettersi in proprio distribuendo macchine da divertimento. Il successo in questo campo gli ha permesso di arrivare ad una tranquilla pensione tra l’amore di sua moglie, dei suoi figli e delle nipoti. A questo punto facciamo un salto temporale e torniamo in Italia, esattamente nel dopoguerra. Liliana Agostini era una bella ragazza di quindici anni che un giorno dell’immediato dopoguerra, seduta sul muretto del paese, osservava una carovana di “zingari” che provenivano dalla Jugoslavia; i loro colorati vestiti e i particolari carri avevano attratto l’attenzione della giovane Liliana. Tutto ad un tratto, voltandosi, notò un giovane con l’uniforme americana che scendeva le scale e scoccò immediatamente la scintilla dell’amore; il fiero giovanotto era proprio il nostro Pierino. Liliana all’età di quindici anni lavorava al Palagi e studiava per poter prendere la licenza media; cuciva e studiava a giornate.
Gli sforzi furono ripagati e la giovane Liliana riuscì ad andare nella città di Pisa per un corso di infermiera; superati brillantemente gli studi, lavorò per un paio di anni all’ospedale di Pisa. Nel frattempo i due innamorati separati da 30 giorni di nave non si erano certo abbandonati, e galeotte furono le lettere che Piero scriveva a Liliana. Tra una lettera e l’altra Liliana prese la decisione della vita; vado in Australia. Era il 1960 e la bella Liliana fece i bagagli e si imbarcò a Genova con rotta Australia; trenta lunghissimi giorni di nave con sosta in Africa. Il 23 aprile 1960 Pierino e Liliana convogliarono a nozze, coronando così il loro sogno d’amore nato nel piccolo paesino di Turritecava. Dal matrimonio e dall’amore di Pierino e Liliana sono nati Roberto e Tania, che a sua volta si sono sposati con Kelly e Michael. Il cerchio della vita si è chiuso con quattro splendide nipotine: Gabriella, Elise, Danielle e Lauren.
Tra le tante avventure e disavventure che Pierino racconta, risalta un piccolo aneddoto tutto italiano che racchiude il nostro spirito di adattamento all’estero. Nel porto aveva attraccato una nave di immigrati italiani, molti dei quali della bassa Italia, e mentre attendevano le pratiche burocratiche parlavano urlando con i familiari che li attendevano sulla banchina. “Com’è l’Australia” - urlavano dalla nave - “Bellissima” - rispondevano dalla terra ferma. “Ma con l’inglese, come si fa, è difficile?”. “Difficile?” - rispondevano i familiari – “è facile impararlo, tutto al contrario”. “Le strade sono grandi come le nostre piazze e le chiamano Strit (street in inglese si pronuncia strit), i pullman sono a due piani, altissimi e li chiamano Bas (bus in inglese si pronuncia bas)”.
Nel 1969 a Melbourne è stato aperto uno splendido Toscana Club, il nostro Pierino è uno dei soci fondatori.
P.S. la nave Surriento fu acquistata nel 1949 dalla Soc. americana Grace Line e cambiò il suo nome in Surriento (ex- Barnett, ex-Santa Maria). Si trattava di un residuato bellico danneggiato in chiglia durante lo sbarco degli Alleati in Sicilia.
 
Simone Alex Sartini
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

lunedì 28 settembre 2015

Vi presento l'Aringo di Gallicano

Niente nasce per caso... nemmeno il titolo di questo nuovo giornale ha lasciato il suo nome al fato e la denominazione “L’Aringo” nasce per due motivi. 
Primo perché questo è uno dei luoghi simbolo di Gallicano, il paese lo vediamo sempre rappresentato così in foto e cartoline: il maestoso San Jacopo e davanti a sé il piazzale denominato appunto Aringo. Il secondo motivo è più viscerale, intimo e va a scavare in quell’anima ciarliera che è una caratteristica dei gallicanesi, lo spirito combattivo porta a dire sempre la nostra, a confrontarci, a discutere e così sarà anche per questo giornale; una voce libera di racconti, idee, progetti e notizie nel rispetto di tutto e tutti, un po’ proprio com’era l’Aringo nel Medioevo a Gallicano, un “parlatorio” a cielo aperto. 
Ma guardiamo di addentrarci un po’ nell’argomento e andiamo a scavare nella storia di quello che è ed era l’Aringo per Gallicano. Intanto andiamo a vedere l’etimologia del nome e veniamo a sapere che per gli Accademici della Crusca Arengo, Arringo e Aringo hanno lo stesso significato, e proprio la terza eccezione (anche se delle tre è la meno usata) è quella a noi gallicanesi più cara e familiare...ma andiamo avanti.
L’origine del nome va ricercata nel germanico hring (nel tedesco moderno ring) che significa appunto cerchio, anello inteso in questo caso come luogo di adunanza. Sembra che questa parola fu importata dagli Ottoni (casata di imperatori del Sacro Romano Impero) provenienti dalla Sassonia (Germania) nella sua discesa in Italia nel 962; fu infatti nel XII secolo che nacque a Gallicano e nell’intera Italia medievale l’Aringo, inteso proprio come luogo dove i cittadini si riunivano in assemblea per discutere dei problemi comuni ed eventualmente deliberare. 
La stessa assemblea si poteva chiamare concio o parlamentum e solitamente si svolgeva al cospetto della cattedrale, del duomo, o della chiesa principale; erano le uniche costruzioni ad avere una certa importanza ed avevano un decoro morale ed estetico. 
L’Aringo di Gallicano, inteso come riunione di cittadini, nacque insieme alla sua chiesa principale, San Jacopo, nel XII secolo. Abbiamo notizia di una delle prime assemblee intorno al 1150, quando Gallicano fu preda di un impulso di libertà. 
Il giogo feudale stava pesando ai gallicanesi; i nobili di Corsara e Vallecchia da Seravezza, padroni (nel vero senso della parola) del paese, avevano fatto tirare un po’ troppo la cinghia al popolo, che ridotto allo stremo aspirava a migliori condizioni di vita. Iniziarono i movimenti di ribellione e proprio sull’Aringo il popolo si riunì per la prima volta decidendo di fermare i soprusi. 
L’importanza dell’evento fu tale che anche negli anni a venire le riunioni sull’Aringo non furono più improvvise e occasionali, ma vennero convocate e presiedute dai nobili stessi di Corsara e Vallecchia; dal rischio di essere spodestati allo scendere a patti con i gallicanesi stessi. 
Vennero scelti i capi assemblea, i quali fissarono quattro adunanze l’anno nei mesi di marzo maggio luglio e settembre, oltre ogni volta che la straordinarietà del caso lo richiedeva; potevano intervenire tutti gli appartenenti a qualsivoglia classe sociale. L’assemblea era indetta dal magistrato cittadino che invitava il popolo a partecipare attraverso una campana (cum campana ad arengam) e deliberava per acclamazione al grido “fiat, fiat” (fatto, fatto). 
La delibera veniva così approvata e si approvava veramente di tutto: guerre, alleanze, disposizioni di territori, diatribe interne, elezione dei pubblici ufficiali che in loco prestavano giuramento. Tutto nasceva nell’allora indissolubile connubio con la Chiesa, perché oltre a svolgersi incontri con i cittadini, nell’Aringo si svolgevano anche incontri religiosi. 
A Gallicano il tutto avveniva esclusivamente nel piazzale antistante al duomo di San Jacopo. Ma com’era disposto e organizzato l’Aringo? Innanzitutto vi era un luogo per oratori, la cosiddetta “Parlera”, a cui accedevano il magistrato cittadino, le autorità o il pievano. 
A Gallicano ancora oggi vi sono tracce di questa “Parlera”; nella facciata di San Jacopo, tra il campanile e la scalinata d’ingresso, si possono ancora vedere sul muro (vedi foto a sinistra) la presenza delle due vecchie pietre colonnari che formavano un portale, oggi murato, con sopra un arco in pietra scolpita (due serpenti, di raffigurazione gotica), a cui si accedeva dall’interno della chiesa. 
Il portale era molto stretto, appena di passaggio per una persona, alto circa due metri ed attraverso questa piccola porta si poteva accedere ad un palco forse coperto da un tettuccio. Con il passare dei secoli le adunanze per acclamazione divennero un lontano ricordo, ed il modo di gestire la cosa pubblica cambiò radicalmente: potere trasferito ai comuni e cittadini che avevano la possibilità di eleggere un loro rappresentante. 
L’Aringo fu trasferito nelle cosiddetta casa comunale, oggi Palazzo Bertini, e proprio sopra il porticato d’ingresso vi è una terrazza che nel passato poteva svolgere il ruolo di “Parlera”; dalla terrazza venivano annunciate le decisioni prese dinanzi a quella che non a caso oggi si chiama Piazza del Popolo. 
Nel cuore di tutti i gallicanesi però rimane e rimarrà sempre l’Aringo di San Jacopo.

Paolo Marzi

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

Gruppo Sbandieratori e Musici di Gallicano: come tutto ebbe inizio

 
A settembre 2014 si è tenuta la Parata Nazionale della Bandiera a Gallicano e i nostri amati Sbandieratori, come sempre, si sono distinti con onorevoli piazzamenti, vincendo la medaglia d’oro nel gioco della Grande Squadra e conquistando il terzo posto nella classifica di gruppo: una medaglia di bronzo nazionale che ci onora.
Un momento emozionante è stata l’esibizione dei “vecchi” Sbandieratori, anch’essi vittoriosi nella Grande Squadra proprio a Gallicano nel lontano 1994 e la commozione è stata grande per i presenti; d’altronde dal 1974 questo gruppo ci allieta con le sue bandiere colorate e con il suono dei suoi tamburi. Quarant’anni di storia gallicanese, una moltitudine di ragazzi ne hanno fatto parte, vedendo il succedersi di generazioni, padri, figli, fratelli e amici.
Conosciuti da tempo in tutta Italia gli Sbandieratori sono un orgoglio per il paese, ma in molti, anche a Gallicano, ne ignorano l’inizio, il seme da cui è maturata questa bella realtà gallicanese.
Era il lontano 1973 e all’interno dell’allora Rione Roccaforte (insieme alla Strettoia è diventato l’attuale Borgo Antico) si discuteva della sfilata al seguito dei carri allegorici per il nascente Palio di San Jacopo. Essendo il Rione della parte storica di Gallicano, si pensò ad una sfilata in costume d’epoca, abiti medievali meravigliosi al seguito di una carrozza per rimembrare la Vicaria di Gallicano suddita di Lucca ma… mancava qualcosa.
Un signore propose di arricchire la sfilata con degli Sbandieratori che potessero dare “movimento”: questo signore era Giovanni Biagioni detto “Giona”, un brillante tassista. Avendo parenti a Querceta, dove si teneva da anni il Palio dei Micci, aveva visto più volte il corteggio storico con gli Sbandieratori; fu così contattato il Gruppo Sbandieratori di Querceta che riempì la sfilata del 25 luglio 1973.
Per le misere casse del Rione fu un bell’esborso pagare questi Sbandieratori, per cui l’anno seguente si cercò bene di imparare a sbandierare. Mosso dall’entusiasmo, Adolfo da Prato detto “Pulcino” si armò di cinepresa e andò a filmare gli Sbandieratori di Querceta, che allo stesso tempo vennero a Gallicano per un pomeriggio ad insegnare due soli movimenti ai ragazzi della Roccaforte: l’Otto e la Ruota. I ragazzi gallicanesi mossero i primi passi e guardando il video del Pulcino iniziarono ad inventare nuovi movimenti, che pian piano si fecero sempre più complicati. Restava il problema di costruire le bandiere particolari che servono per sbandierare, anch’esse di un costo elevato, per cui fu comprata una bandiera dagli Sbandieratori di Querceta e smontata in tutte le sue parti per vedere come era composta.
A questo punto entrò in gioco Bruno Baldacci, che, dopo aver costruito le prime bandiere con legno di frassino in modo artigianale, diventò un vero e proprio esperto nella piombatura del manico grazie ai piombini forniti da Filippo di Maggio, titolare di una carrozzeria anche lui del Rione Roccaforte.
I ragazzi della Roccaforte e non solo, furono presi dall’entusiasmo e con un impegno lodevole si allenarono per tutto l’anno sull’Aringo e nella piazzetta Sbandieratori, che allora era un piccolo spazio in mezzo alle vecchie macerie della seconda Guerra mondiale: pomeriggi interi con le bandiere e un tamburo per dare il tempo.
Questo gioco portò una sferzata di novità nel piccolo mondo di Gallicano, giorni nostalgici di un’epoca lontana quando con poco ci si divertiva. Il 25 luglio 1974 fu tutto pronto e nove ragazzi si esibirono all’interno della sfilata del Rione Roccaforte per il Palio di San Jacopo: Alberto Saisi, Carlo Puccetti, Adolfo Da Prato, Giulio Baldacci, Angelo Torri, Giuseppe Simonini, Marco Suffredini, Giampaolo Tognocchi e Ubaldo Bertoli.
L’esibizione fu un grande successo e quel giorno, inconsapevoli del cammino glorioso che li avrebbe attesi, otto ragazzi diedero vita al Gruppo Sbandieratori e Musici di Gallicano; una brillante e solida realtà che ha instillato negli anni a venire passione e amore nei giovani del paese verso questo gioco antico ed affascinante.
Un sentito grazie da parte de L’Aringo a Bruno Baldacci, Adolfo Da Prato, Giovanni Biagioni e Filippo Di Maggio, che insieme ai ragazzi di allora, ai loro genitori, hanno contribuito con volontà e mezzi alla nascita del Gruppo, portando in alto il nome di Gallicano in tutta Italia e all’estero.
Dopo quarant’anni “il ragazzo” Giulio Baldacci continua a tirare le fila dell’associazione; una perseveranza che denota la tenacia di tramandare tradizioni e passione nel futuro della comunità.
 
Antonella Cassettari
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

sabato 26 settembre 2015

Tesseramento socio sostenitore anno 2016

Per la fiera di Gallicano, domani 27 settembre la redazione del giornale sarà presente in Piazza Vittorio Emanuele con un banchettino per il tesseramento annuale per diventare socio sostenitore per l'anno 2016. Il costo sarà di solo 5 € a tessera. Tutti coloro che vorranno aderire li aspettiamo domani in piazza !!!

giovedì 24 settembre 2015

L'Aringo numero 2 - versione digitale

In attesa del 3° numero del giornale l'Aringo che sarà consegnato da sabato, postiamo per tutti la versione digitale del numero 2 speciale Palio di San Jacopo 

Buona lettura!


mercoledì 23 settembre 2015

Abbonamento annuale per i non residenti


Tra pochi giorni sarà in uscita il terzo numero de "L'Aringo, il giornale di Gallicano", visto il notevole successo del giornale oltre i confini comunali la redazione ha deciso di fare contenti anche gli amici “vicini di casa" e ha pensato a loro facendo così un abbonamento annuale (4 numeri) al costo di 15 €. 
Le 15 € andranno interamente a ricoprire il costo della spedizione postale a casa dell'abbonato più la tessera di socio sostenitore. 
Chi fosse interessato può scrivere all'indirizzo di posta elettronica: redazionearingo@gmail.com, lasciando nome, cognome ed indirizzo, in seguito verrà ricontattato in breve tempo dalla redazione. 

N.b.: il servizio (come detto) riguarda solamente i lettori che abitano FUORI dal comune di Gallicano.

giovedì 17 settembre 2015

E la minestrella salì sul carro

- Maestra Duse, ci dà una mano? 
- Abbiamo bisogno di lei, delle sue idee e del suo pennello. 


Quelle erano le voci del Prof. Rolando Saisi e del suo seguito: Adriano Bertoli, Lucio Ferrari, Pietrino della Flora e via, via, voci di tutti quelli che credevano nella maestra che amava Gallicano e la sua gente.
E la risposta ci fu: la Duse pensò progettò, pitturò lassù nell’altana della Giulia Carnicelli dove nelle notti “bianche” dal sapore di Palio, arrivava l’odore (spesso soltanto quello) delle profumate pizze delle donne mogli e madri.
E’ in questo clima che nacque, crebbe e brillò quel luminoso carro che si chiamò “Minestrella”; al seguito ”focacce leve” e “I cicciori”.
Fu vinto nel 1974 dal Rione Monticello il Miglior Complesso Folkloristico. La vittoria fu seguita da commenti pungenti. “Si, Palio degli scappini, che sono piaciuti a ...” (Nella sfilata, i figuranti avevano calzato gli scappini, calzatura tipica gallicanese).
Il lavoro dei contendenti si faceva sentire, ma era parte essenziale della gara che rendeva Gallicano un alveare, dove il ronzio a più colori, era sempre quello: “Quest’anno si vince noi!


Ogni paese di un territorio ha la sua storia, cultura, dialetto e tradizioni, soprattutto culinarie. Anche Gallicano è uno di questi paesi, ma per quanto riguarda la tradizione culinaria, Gallicano paese ha una sua ricetta particolare non riscontrabile in altri paesi anche al di fuori della nostra Provincia di Lucca: la minestrella. 
Questa ricetta storica ultracentenaria, che si perde nella notte dei tempi, è una minestra che può essere fatta con tantissime erbe di campo oltre trenta varietà, in gergo locale “erbi boni”. Come nasce un piatto storico con prodotti esclusivamente del territorio? Questo è un piatto con ingredienti semplici messi a disposizione da madre natura senza doverli coltivare e che l’ingegno e la conoscenza dei contadini di una volta, sapevano distinguere molto bene. 
Tutti erbi, che oggi definiamo come fitoalimurgia, nel tempo chiamati ovviamente con nomi dialettali. Questa conoscenza, tramandata oralmente da secoli di generazione in generazione, fino agli anni sessanta del secolo scorso, oggi purtroppo sta scomparendo, causa l’evoluzione industriale e tecnologica mondiale. Gallicano, nei tempi passati, era un paese di contadini e non avendo grandi poderi da coltivare, gli uomini andavano a fare anche lavori stagionali in Corsica e altre zone, pertanto le donne dovevano farsi carico, oltre che lavorare nei campi, sfamare le loro famiglie nei momenti più difficili. 
Da considerare che Gallicano, a diversità dei paesi garfagnini, era in fondovalle lungo il fiume Serchio, con poche selve di castagno e lontane, sul monte Palodina, rispetto gli altri paesi che erano contornati da castagni e avevano a disposizione più farina di neccio per nutrirsi giornalmente. 
Allora, le donne del paese, avendo questa conoscenza fitoalimurgica, rimediavano, raccogliendo nei loro campi diversi tipi di erbi e li cucinavano in vari modi. Il piatto base era composto da queste varietà di erbi lessati in acqua con fagioli giallorini e l’aggiunta, quando c’era, di un pezzetto di lardo, osso di maiale o cotenne come condimento, che trovavano in base alla stagionalità. 
Per quanto riguarda la minestrella di Gallicano, non esiste una vera e propria ricetta, in quanto gli erbi non erano mai gli stessi da una famiglia all’altra, oltre poi alla stagione di raccolta. 
In base alla possibilità di scelta di erbi amari o dolci a disposizione del momento, questa ovviamente poteva essere più o meno saporita, ma in quei tempi di miseria ovviamente non avevano tempo per queste sofisticazioni.

Riporto qui sotto la ricetta base della minestrella.


Principali erbi usati: 
Scabiosa columbaria “sporta vecchia”, Bellis perennis “margheritine”, Crepis leodontoides “tassella”, Crepis sancta “cassellora”, Crepis vesicaria “radicchiella”, Cichorium intibus “radicchio selvatico”, Cirsium arvense “stoppione”, Daucus carota “pastineggio”, Foeniculum vulgaris “finocchio selvatico”, Hypochoeris radicata “ingrassaporci”, Papaver rhoaes “rosolaccio”, Plantago lanceolata “orecchie d’asino”, Plantago major “lingua di vacca”, Ranunculus ficaria “favagello”, Reichardia picroides “sassaiolo”, Silene alba “orecchiette”, Silene vulgaris “strigolo”, Soncus asper “cicerbita”, Symphytum tuberosum “salosso”, Taraxacum officinale “piscialletto”, Campanula trachelium “pizza corni”, Lapsana communis “lassana”, Primula vulgaris “primola”, Raphanus raphanistrum “cavolo selvatico”, Rumex acetosa “zezzora”, Salvia pratensis “salvia”, Sanguisorba minor “pimpinella”, Urtica dioica “ortica”, Viola odorata “viola”. 

Ricetta per 4 persone: 
2 kg. Erbi freschi, 100 gr. Lardo, 500 gr. fagioli giallorini, aglio, cipolla, sale pepe. 
Pulire gli erbi, affogarli nell’acqua con un poco di bicarbonato per circa mezz’ora, successivamente lavarli bene e per quelli più amari lasciarli ancora circa due ore nell’acqua per togliere l’amaro. 
Lessare gli erbi, una volta lessati strizzarli dall’acqua e tagliuzzarli finemente. 
A parte fare un soffritto con aglio, cipolla, lardo tritato con uno spicchio di aglio, rosmarino, a chi piace anche del peperoncino piccante. 
Una volta imbiondito, aggiungere gli erbi, una parte dei fagioli lessati e passati a purea e una parte lasciati interi. 
Allungare tutto con acqua, una parte di quella della bollitura dei fagioli, regolare con sale e pepe. Lasciare cuocere a fuoco lentissimo per circa due ore. 
La minestrella ha una consistenza densa, ma non troppo, per dargli ancora più sapore è consigliabile prepararla qualche ora prima e farla riposare, in tal caso la sua consistenza aumenterà ed eventualmente potrà essere nuovamente allungata con acqua, magari sempre della cottura dei fagioli, per riportarla a consistenza voluta. 
Ottimo abbinamento a questo piatto, sono come da tradizione, i “mignecci”, focaccine di farina di granturco o con aggiunta farina di grano, senza lievito e cotte nei testi.

Ivo Poli

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2 luglio 2015

lunedì 14 settembre 2015

Quando le gare sportive contavano


Ho sempre pensato che l’unico Palio di San Jacopo vinto da un Rione per “meriti sportivi” fosse stato il Monticello nel 1997, anno nel quale, il “carro e sfilata” fu vinto dal Borgo Antico con “Occhio Pinocchio ai… consigli per gli acquisti!” che non bastò però a portarsi a casa il Cencio. 
I troppi terzi posti alle gare sportive del Borgo Antico, permisero al Rione Azzurro, grazie alla vittoria del “Grand Prix”, della “Staffetta femminile” e dei “Rioni senza frontiere” - ve lo ricordate il famoso “piatto di pasta asciutta dell’Otello”? – e al secondo posto del carro “la Sirena”, di strappare il Palio agli avversari. 
E invece... proprio per le gare sportive, il Monticello aveva già perso un Palio, quello del 1974, a favore del rione Bufali! Pur aggiudicandosi con “La minestrella” il 2° posto nel “Concorso A – miglior carro allegorico” ed il primo posto nel “Concorso B – miglior complesso di carri allegorici e folkloristici”, il Monticello non riuscì ad aggiudicarsi il Palio, arrivando ultimo al Calcio, ultimo alla staffetta femminile e 3° alla staffetta maschile. 
E qui ho un aneddoto da raccontarvi: il mio babbo, il Nando, mi raccontava che da giocatore aveva sempre vinto il torneo di calcio rionale. 
Negli anni ’70 vigeva la regola che potevi partecipare alle gare sportive solo nel Rione in cui avevi la residenza. 
Ebbene, nel 1974 la mia famiglia (io non ero ancora nato) abitava in Falce ed il Nando, pur di partecipare, dovette giocare con i Bufali che si aggiudicarono appunto il primo posto (Monticello 4°) e la vittoria del Cencio! 
Nel ’72 e nel ’73 il torneo di calcio fu vinto dal Monticello con il Nando a centrocampo! Un uomo, una garanzia, un portafortuna, di cui vado fiero. 

Daniele Saisi

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano", anno 1 numero 2 luglio 2015

mercoledì 15 luglio 2015

L'Aringo - Speciale Palio di San Jacopo: iniziata la consegna


L'Aringo SPECIALE PALIO: numero dedicato alla festa che anima i cuori di tutti i Gallicanesi. 
E' iniziata stamani la consegna casa x casa. Buona lettura!

sabato 11 luglio 2015

L'aringo numero 1 - versione digitale

In attesa del giornale l'Aringo "Edizione Speciale Palio", che sarà consegnato la prossima settimana, postiamo per tutti la versione digitale del numero 1. 

Buona lettura!
 

mercoledì 10 giugno 2015

Gallicano si ritrova nell’Aringo

Cultura, tradizione, e soprattutto voglia di entrare in punta di piedi nelle case dei gallicanesi. Con questi obiettivi, nelle scorse settimane, è nata l'associazione culturale "L'Aringo", che ha anche l'omonimo trimestrale di informazione locale. 
L'Associazione Culturale l'Aringo risponde ad un esigenza di alcuni cittadini che si sono ritrovati spesso a parlare del proprio paese, della sua storia, di alcuni personaggi, e hanno pensato che la gallicanesità non fosse un optional, ma un sentire profondamente l'appartenenza ad un territorio, agli usi e costumi, all'amore per le molteplici tradizioni. 
Lo scopo primario dell'Associazione quindi sarà il giornale che è già stato distribuito e che sta riscuotendo successi di critica, ma non mancheranno altre iniziative legate al territorio, al volontariato, alle numerose associazioni del Comune. 
L'associazione presieduta da Antonella Cassettari è apartitica e il periodico non è organo ufficiale di alcun gruppo politico, ma tra i soci fondatori ci sono personaggi conosciuti per il loro impegno civico: Maurizio Bacchini, Lara Barbi, Alberto Billi, Antonella Cassettari, Paolo Marzi, Ivo Poli, Dino Ponziani, Riccardo Rigali, Daniele Saisi, David Saisi, Michela Saisi, Maria Paola Simi e Palmiro Valdrighi. Così come il finanziamento delle attività deriva esclusivamente dall'aiuto di sponsor privati. 
Il nome de "L'Aringo" è un omaggio al luogo storico di ritrovo di generazioni di gallicanesi. 

Nicola Bellanova – Il Tirreno

sabato 23 maggio 2015

Associazione Culturale l'Aringo

L'Associazione Culturale l'Aringo risponde ad un esigenza di alcuni cittadini che si sono ritrovati spesso a parlare del proprio paese, della sua storia, di alcuni personaggi, e hanno pensato che la gallicanesità non fosse un optional, ma un sentire profondamente l'appartenenza ad un territorio, agli usi e costumi, all'amore per le molteplici tradizioni, di gran lunga più antiche e diverse sotto molti aspetti, dai paesi vicini. 
Ci sono gli odori e i profumi di un territorio bellissimo e incontaminato, le case, le chiese, le piazze, le persone, le frazioni, che a loro volta hanno una storia che si intreccia con il capoluogo, e soprattutto c'è il bisogno di valorizzare tutto ciò. 
Per non disperdere tutte queste peculiarità di Gallicano, per tramandarle alle generazioni future, abbiamo pensato che un giornale paesano potesse essere il miglior mezzo per arrivare a tutte le famiglie: 
poter entrare in ogni casa per portare a conoscenza la storia e le storie, esaltare il territorio, dare notizie e soddisfare curiosità. 
Sappiamo benissimo che internet sta superando tutte le forme di comunicazione, ma il poter toccare con mano un giornale, stropicciarlo, conservarlo ha un fascino tutto suo, considerando altresì che Gallicano è l'unico paese della zona a non avere un giornale paesano. 
Con questo intento e con caparbietà abbiamo costituito l'Associazione l'Aringo, raccolto fondi e sponsor, e siamo riusciti a creare il giornale, un giornale che parte umilmente nella speranza che possa iniziare un nuovo percorso di cultura popolare. 
C'è infatti uno stretto legame fra la cultura che parte dal basso con la cultura intesa come conoscenza, per cui partire da un semplice e umile giornale potrà far scoprire passione per il nostro paese, iniziative nuove, creatività, leggendo il giornale un semplice cittadino potrà scoprire aspetti che potranno stimolare un approfondimento. 
Lo scopo primario dell'Associazione quindi sarà il giornale, ma non mancheranno altre iniziative legate al territorio, al volontariato, alle numerose associazioni del nostro Comune, sarà uno scambio di interessi sempre riconducibili alla comunità, comunità anche lontana dal paese, ma vicina con il cuore. 
L'Associazione è senza scopo di lucro, è volontariato verso la terra natia e verso i compaesani, è legame antico con i figli di quel “Cornelius Gallicanus” che pare aver fondato Gallicano. 

Soci fondatori
Maurizio Bacchini, Lara Barbi, Alberto Billi, Antonella Cassettari, Paolo Marzi, Ivo Poli, Dino Ponziani, Riccardo Rigali, Daniele Saisi, David Saisi, Michela Saisi, Maria Paola Simi, Palmiro Valdrighi. 

Direttivo 
Presidente: Antonella Cassettari 
Vice presidenti: Ivo Poli e Paolo Marzi 
Segretario: Michela Saisi 
Tesoriere: Daniele Saisi 


Associazione Culturale L'Aringo 
Via Santa Lucia, 1
55027 Gallicano (LU) 
P. Iva 02378310466 C.F. 90010560465 
associazione.aringo@gmail.com

mercoledì 20 maggio 2015

Nasce a Gallicano una nuova realtà culturale: Associazione L'Aringo

 
L’amore per questo paese prende forma e sostanza quando le persone si trovano a parlare di Gallicano, di alcuni personaggi passati e presenti, vecchie leggende, ricordi di vita vissuta.
Poter esprimere il senso di appartenenza al territorio, condividerlo con tutti mettendo in luce la storia, usi e costumi, luoghi, piazze, chiese, cibi, con aneddoti di vita come piccoli fotogrammi di una saggia comunità, diventa ricerca delle nostre vere radici. Sotto questa spinta, dopo svariati incontri è nata l’Associazione culturale L’Aringo, fondata il 6 ottobre 2014.
Lo scopo primario del suo statuto è poter finalmente editare un giornale di paese, come tutti i comuni vicini hanno.
L’Aringo sarà il giornale di Gallicano per mantenere in vita tutte le tradizioni del territorio e crearne di nuove: una finestra aperta per ammirare il panorama che ci circonda.
Con buona volontà sono stati cercati fondi e sponsor per coprire i costi di pubblicazione, e molte persone hanno collaborato felicemente a questa piacevole iniziativa di volontariato che parte con umiltà; il giornale sarà gratuito e trimestrale.
L’associazione, senza fini di lucro, potrà organizzare mostre ed eventi culturali per ampliare la conoscenza della cultura popolare attraverso contatti fra persone ed associazioni, promuovendo lo splendido territorio dove risiede l’intera comunità.
Soci Fondatori: Daniele Saisi, Dino Ponziani, Antonella Cassettari, David Saisi, Maurizio Bacchini, Michela Saisi, Paolo Marzi, Ivo Poli, Palmiro Valdrighi, Lara Barbi, Riccardo Rigali, Alberto Billi, Maria Paola Simi. Presidente Antonella Cassettari, Vice Presidenti Ivo Poli e Paolo Marzi, Segretario Michela Saisi, Tesoriere Daniele Saisi.
 
Antonella Cassettari - Il Presidente
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015