"L'Aringo -il giornale di Gallicano" augura a tutti i suoi lettori un felice 2016, che sia un anno pieno di soddisfazioni per tutti. Un anno questo che ci vedrà ancora di più protagonisti nel panorama culturale gallicanese. Convinti del vostro sostegno auguriamo ancora a tutti pace, serenità e salute.
giovedì 31 dicembre 2015
giovedì 24 dicembre 2015
Buon Natale e Felice Anno nuovo
E' stato il primo anno di vita, il giornale l'Aringo ha visto la luce di maggio e siamo arrivati a quattro numeri. La redazione è felice di essere riuscita a raggiungere l'obiettivo prefissato per questo 2015, ma è anche caparbiamente impegnata a fare meglio per il futuro.
Ringraziamo i lettori per l'attenzione, i soci dell'associazione l'Aringo, ma soprattutto tutti gli sponsor, senza i quali l'Aringo non potrebbe mai essere nato.
Nella speranza che l'Aringo abbia una lunga vita, la Redazione augura Buon Natale e Felice Anno nuovo.
Arrivederci a marzo 2016.
venerdì 18 dicembre 2015
In uscita il nuovo numero natalizio de "L'Aringo"
Ecco il numero natalizio de "L'Aringo", un numero dedicato in buona parte al Natale. In prima pagina la Fiaccolata Natalizia e poi ancora numerosi articoli su storia, tradizioni, curiosità e quant'altro, in più un gradito omaggio della redazione a tutti i suoi lettori: il calendario double face 2016 firmato "L'Aringo il giornale di Gallicano".
Da domani in tutte le case di Gallicano!
martedì 15 dicembre 2015
La morte dello “striscino”
Quest’ultimo, in
particolare, veniva prodotto nei vigneti
di tutta la Garfagnana, dalle parti più
basse, lungo il fiume Serchio, fino a ottocento
metri sul livello del mare.
Documenti storici ci riportano questa
coltivazione già avanti l’anno mille, ma
il suo maggior sviluppo si ha intorno
agli inizi del 1800. In quel periodo, ovviamente,
non si faceva produzione di
qualità come oggi, ma di quantità, per
diversi motivi e principalmente perché
la maggior parte delle varietà di uve era
del tipo selvatico. Inoltre, l’attività contadina
era a mezzadria e quindi il contadino
doveva spartire metà prodotto
con il padrone del fondo.
Quindi le viti
dovevano produrre il più possibile e
ovviamente il vino ottenuto era di basso
volume alcolico, anche di 6-8 gradi,
per questo veniva chiamato “striscino”,
e stava a significare che, da tanto era di
bassa gradazione, “strisciava per terra”.
Non solo, ma i contadini, alla vinaccia
strizzata delle uve, aggiungevano l’acqua
e, strizzandole per la seconda volta,
ottenevano la cosiddetta “vinella” (acqua
colorata con un poco di sapore di vino,
usata anche per la cosiddetta “vinata”).
Oggi ovviamente tutto questo non si fa
più, anche perché di vino se ne produce
ormai poco, sia nel nostro Comune che
in tutta la Garfagnana, e principalmente
per uso proprio, inoltre sono cambiati
i tipi di vitigni, con uve a maturazione precoce e con alti tenori di zuccheri, che
danno al vino gradazione, profumi e sapori
molto apprezzabili.
Ma parlando di giovani che hanno fatto
ritorno all’agricoltura nel nostro Comune
possiamo dire con grande soddisfazione
di avere nel settore vitivinicolo un
giovane che ha dato un grande prestigio
e al Comune di Gallicano e alla Garfagnana.
Sono andato a trovarlo, è Gabriele Da
Prato di Concori Ponte di Campia.
Conduce
un’attività vitivinicola e produce un
vino oggi affermato in tutto il mondo.
Gli ho chiesto come ha fatto ad avventurarsi
in un settore così complicato e difficile
come la viticoltura, specialmente in
una valle come la nostra dove nessuno
prima di lui aveva investito in questo
settore. Ecco il suo bellissimo commento:
“Ho avuto sempre la passione del produrre
vino fin da bambino, tramandata da
mio nonno a mio padre, ma in quei tempi
non si pensava a fare prodotti di qualità.
Poi tutto prese una svolta nell’anno 1999,
quando incontrai un grande enologo
come Saverio Petrilli della tenuta di Valgiano.
Con lui ho visitato vigneti e cantine in
Francia, in Svizzera e Germania, osservando
pregi e difetti, e a tal punto da essere più
che convinto del mio intento, e nel 2000
sono partito con un progetto. Da un lato
recuperare quei suoli e quei terrazzamenti
che mio padre non aveva più le forze per
gestire, e dall’altro riuscire a portare, in
dieci anni, il vino di Concori sui tavoli della
Toscana e dell’Italia.
Poi nel 2002 ho iniziato una coltivazione
biodinamica e questo ha confermato il
mio percorso, dando più risorse naturali al
vigneto con risultati eccellenti”.
Ho poi chiesto a Gabriele se oggi avrebbe fatto il suo vigneto con i nostri vitigni
autoctoni garfagnini. “Quindici anni fa no
senz’altro perché ancora non c’erano studi
sui nostri vitigni – mi ha risposto -. Oggi
potrebbe essere fatto, supportato dagli
studi e dalle ricerche universitarie”.
Come sei riuscito ad arrivare ad un mercato
internazionale di alto livello? “Con
grande sforzo e con la qualità.
Il primo
riconoscimento è stato con Veronelli, e là
sono rientrato nei migliori dieci vini emergenti
italiani nel 2003, ma ancora c’era
molto da lavorare. Sono stato premiato
Chiocciola Slow Food per due anni di seguito
e ho ottenuto molti altri riconoscimenti”.
Infine gli ho chiesto come vede il futuro,
sia a livello fiscale, di normative, che di
cambiamento del clima (anche considerando
le calamità naturali sempre più
frequenti).
“Purtroppo ti devo dire che siamo
abbandonati a noi stessi; le vicende del
vento del cinque marzo, l’alluvione di ottobre
del 2013 hanno messo veramente in
ginocchio specialmente chi fa agricoltura.
L’agricoltura non si può delocalizzare, cioè
domani non posso dire chiudo la vigna e
la porto, per dire, in Romania, noi viviamo
qui, ed è qui la fonte del nostro reddito.
Pertanto credo ci dovrebbero essere dei
tavoli di confronto, per venirci incontro
almeno con un minimo di aiuti, non solo
nei periodi elettorali, ma anche in questi
momenti difficili: dovrebbero venirci a trovare
per vedere con i loro occhi le difficoltà
di noi contadini.
Da parte mia cercherò di
continuare nella strada della qualità del
prodotto, fino a che potrò resistere”.
Ivo Poli
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.
sabato 12 dicembre 2015
Il terremoto del 7 settembre 1920 - Dal diario dello Zampogna
Il giorno 7 di settembre 1920 alle
ore 7 e minuti 56 del mattino,
venne in tutta la Garfagnana e
Lunigiana una violentissima scossa
di terremoto, che devastò tutti i
paesi. Facendo crollare case, nelle
quali rimasero parecchie vittime.
Se fosse avvenuto questo 3 o 4 ore prima i morti sarebbero stati a migliaia perché molte furono le case rase al suolo, mio padre e mia madre così dicevano: per quanto ne sappiamo noi è stato proprio il lavoro dei campi che ha risparmiato tante vittime altrimenti sarebbe stato un disastro, e sempre avevano qualcosa che concludeva.
Vedete
che qualche volta Dio s’è ricordato
anche di noi poveri bifolchi?
Il
lavoro delle campagne fa alzare
presto al mattino, e mentre tu lavori
sopra di te c’è Dio, il celo (cielo, ndr)
e loro non ti vengono addosso.
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.
lunedì 30 novembre 2015
Il Buffardello, storia e origini del folletto garfagnino
Un movimento improvviso, un frusciare di foglie, un rametto
che si spezza... Succedeva così che il ripetersi casuale di certe
situazioni, l’avverarsi di un sogno, avvenimenti particolari che
non era possibile riportare in uno schema logico contribuissero
nei secoli passati alla nascita di superstizioni particolari
legate ad esseri fantastici, burloni e dispettosi. Anche la Garfagnana
ha il suo essere fantastico: è il buffardello, presente in
maniera forte nella nostra tradizione popolare e in tanti racconti
che venivano narrati “a veglio” accanto al focolare.
Ma chi
era il buffardello? Cosa dicono le tradizioni? Guardiamo un pò.
Il buffardello generalmente era indicato come un ometto di
una settantina di centimetri con la barba lunga e appuntita,
simpatiche scarpe aguzze ed un vestito rosso scarlatto. Coloro
che lo hanno... visto lo descrivono non brutto di faccia, non
mancherebbe affatto di una certa eleganza. Ben più sinistra
invece è la sua origine: il “Grillorosso” (n.d.r: al secolo Alfezio
Giannotti, studioso di tradizioni locali e autodidatta di Eglio) in un
articolo del 1928 su “La Garfagnana” dice che secondo tradizione
il buffardello avrebbe partecipato più di un milione di anni
fa insieme a Lucifero ed Arael e mille altri alla detronizzazione
di Dio.
Dopo tre giorni di strenue battaglie ebbe le mani forate
da un fulmine e una pedata fortissima ricevuta nel didietro lo
fece ruzzolare dalle soglie celesti e giunse così sulla terra. Lucifero
ed Arael furono relegati negli inferi, mentre egli, magro e
piccolino, rimase nascosto e sconosciuto sulla terra a rompere
gli occhiali ai preti, a far dispetti alle zitelle e marachelle varie
ai contadini. In alcuni casi si presenta con un turbinio di foglie
di notevole forza capace di scompigliare ogni cosa. È bene avvisare
inoltre che ama la notte: è infatti nelle ore più buie e
silenziose che mette in pratica tutte le sue diavolerie.
Fra le vittime preferite vi erano i poveri preti: si racconta che in
alcuni casi si accaniva sull’aspersorio (lo strumento che il prete
usa per benedire) spelacchiandolo tutto, lasciando il manico
d’ottone tondo e pelato.
Un parroco della parrocchia di Gallicano
(lungi da me dal farne il nome...) giurava e spergiurava,
raccontandolo in maniera alquanto animata, di quando se lo
trovò durante la notte che gli girava intorno al letto cantandogli
la messa da morto.
Mai però era dannoso nel vero senso
della parola, era a ogni buon conto esasperante fino all’inverosimile.
Lo sapeva bene quel contadino della Pontavilla (località
di Gallicano) che trovava nella sua stalla le code delle mucche
e i crini dei cavalli intrecciati, e ancor meglio quei poveri marito
e moglie che possedevano solo due vacche, una ingrassava
a vista d’occhio, mentre l’altra deperiva quasi fino alla morte:
ebbene si scoprì che il buffardello la notte toglieva il fieno
dalla mangiatoia della vacca magra per darlo a quella grassa.
Che dire sennò delle case trovate con la mobilia sottosopra e i
quadri cambiati di posto? Le canoniche poi erano il suo divertimento…
Anzi direi di leggere direttamente da chi lo ha “visto”.
Questa è una testimonianza del secolo scorso:
“Non v’era
dispetto che il maledetto non tentasse ai miei danni. Mi spargeva
il sale fra le lenzuola, mi nascondeva la fiaschetta della polvere da
caccia. Una volta tentò di farmi ruzzolare in cantina smuovendo
le assi del pavimento e poi la notte non mi fa dormire nemmeno
un’ora, lo sento aggrapparsi alle coperte, palpeggiarmi tutto, un
senso di oppressione infinita che mi toglie forze e respiro...”.
Infine per chi lo dovesse vedere o sentire questi sono gli antidoti:
mettere fuori dalla porta un ramoscello di ginepro (il
folletto impegnato a contare le bacche si dimenticherà della
persona da molestare), o in alternativa preparare una camicia
bianca ai piedi del letto con le maniche disposte a croce (infastidito
dalla riproduzione cristiana scapperà a gambe levate...).
Paolo Marzi
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 3, Settembre 2015.
Paolo Marzi
giovedì 26 novembre 2015
L'Aringo numero 3 - versione digitale
In attesa dell'ultimo numero dell'anno 2015, postiamo per tutti la versione digitale del numero 3.
Buona lettura!
Buona lettura!
giovedì 12 novembre 2015
La grande guerra - Storia e memoria del fronte Alpino
Un appuntamento molto interessante il 27 novembre alla sala Guazzelli a Gallicano: "La Grande Guerra, storia e memoria del fronte alpino".
A 100 anni dalla scoppio della I Guerra Mondiale una serata per ricordare e non dimenticare quei tragici anni. Un evento fatto di poesia, teatro, canti e immagini, organizzato dal comune di Gallicano e altre associazioni fra le quali "L'Aringo - Il giornale di Gallicano".
martedì 10 novembre 2015
Silvano Valiensi, la cultura popolare di un artista garfagnino.
Amare la Garfagnana vuol dire assaporare quella magica essenza intrisa di ricordi,
profumi e sapori di un tempo che fu; ogni angolo, anche il più remoto, emoziona
e rimanda ad un passato che sarà sempre parte integrante della nostra vita.
Silvano Valiensi è stato uno dei massimi esponenti del filone “cultural popolare”
che permette alla Garfagnana, quella vera e verace, di sopravvivere. Le sue poesie
aprono un varco temporale riuscendo a proiettarci nell’orizzonte degli eventi,
dove riscoprire le nostre radici. Immergendoci nelle sue parole, a volte dissacranti
e ironiche, altre volte serie e malinconiche, dipingiamo un quadro antico dove
ogni sfumatura regala emozioni e ricordi. Maestro buono ma risoluto, come lo
erano gli insegnanti elementari del passato, Valiensi amava la poesia ma i piccoli
capolavori rimanevano spesso racchiusi nel suo prezioso cassetto, evidenziando
una modestia senza tempo. L’importanza dei libri, pubblicati postumi, dimostra
quanto la memoria del passato sia essenziale per guardare il futuro, e porta alla
luce un artista popolare di alto spessore che nobilita l’essenza stessa di Gallicano
e della Garfagnana.
Simone Alex Sartini
Gallicano nel vento
Vogliamo mandarti questa cartolina,
che ti porti laggiù in terra lontana,
una carezza della tramontana,
che soffia a Gallicano stamattina.
Il cielo è terso, e azzurro di cobalto,
il fumo, appena uscito dai camini,
si disperde nel vento. Gli Appennini,
bianchi di neve guardano dall’alto
la valle triste. Un albero sottile
trema di freddo tutto intirizzito,
la Pania s’è cambiata, ormai, il vestito;
martella il tempo il vecchio campanile.
Le selve, in alto, sono tutte spoglie,
insieme al bosco, tetro e mal ridotto,
arruffato, saltella un passerotto,
fra i tralci delle viti senza foglie.
E soffia, soffia, questo vento pazzo:
s’insinua per le strade del Colletto,
per il Castello va di tetto in tetto,
e corre dalla Mandria a Carpinazzo.
Passa gente sul Ponte, incappucciata,
rasenta il muro e tira via di fretta;
c’è per tutti, accogliente, che li aspetta
una bella stanzetta riscaldata.
Noi…restiamo all’aperto sotto il sole,
perché vogliamo parlare con il vento...
e lui ci ascolta e par che sia contento,
nel sentirsi affidar queste parole:
Se per caso tu arrivi nell’Australia,
dove c’è un nonno con una nipotina
che gioca in mezzo a un parco ogni mattina,
portagli tanti baci dall’Italia.
Silvano Valiensi
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1, Maggio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"
profumi e sapori di un tempo che fu; ogni angolo, anche il più remoto, emoziona
e rimanda ad un passato che sarà sempre parte integrante della nostra vita.
Silvano Valiensi è stato uno dei massimi esponenti del filone “cultural popolare”
che permette alla Garfagnana, quella vera e verace, di sopravvivere. Le sue poesie
aprono un varco temporale riuscendo a proiettarci nell’orizzonte degli eventi,
dove riscoprire le nostre radici. Immergendoci nelle sue parole, a volte dissacranti
e ironiche, altre volte serie e malinconiche, dipingiamo un quadro antico dove
ogni sfumatura regala emozioni e ricordi. Maestro buono ma risoluto, come lo
erano gli insegnanti elementari del passato, Valiensi amava la poesia ma i piccoli
capolavori rimanevano spesso racchiusi nel suo prezioso cassetto, evidenziando
una modestia senza tempo. L’importanza dei libri, pubblicati postumi, dimostra
quanto la memoria del passato sia essenziale per guardare il futuro, e porta alla
luce un artista popolare di alto spessore che nobilita l’essenza stessa di Gallicano
e della Garfagnana.
Simone Alex Sartini
Gallicano nel vento
Silvano Valiensi |
che ti porti laggiù in terra lontana,
una carezza della tramontana,
che soffia a Gallicano stamattina.
Il cielo è terso, e azzurro di cobalto,
il fumo, appena uscito dai camini,
si disperde nel vento. Gli Appennini,
bianchi di neve guardano dall’alto
la valle triste. Un albero sottile
trema di freddo tutto intirizzito,
la Pania s’è cambiata, ormai, il vestito;
martella il tempo il vecchio campanile.
Le selve, in alto, sono tutte spoglie,
insieme al bosco, tetro e mal ridotto,
arruffato, saltella un passerotto,
fra i tralci delle viti senza foglie.
E soffia, soffia, questo vento pazzo:
s’insinua per le strade del Colletto,
per il Castello va di tetto in tetto,
e corre dalla Mandria a Carpinazzo.
Passa gente sul Ponte, incappucciata,
rasenta il muro e tira via di fretta;
c’è per tutti, accogliente, che li aspetta
una bella stanzetta riscaldata.
Noi…restiamo all’aperto sotto il sole,
perché vogliamo parlare con il vento...
e lui ci ascolta e par che sia contento,
nel sentirsi affidar queste parole:
Se per caso tu arrivi nell’Australia,
dove c’è un nonno con una nipotina
che gioca in mezzo a un parco ogni mattina,
portagli tanti baci dall’Italia.
Silvano Valiensi
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1, Maggio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"
martedì 27 ottobre 2015
Palio di San Jacopo: come sono nati i colori dei Rioni
I primi tentativi nel dopoguerra di rinverdire le antiche tradizioni di Gallicano,
furono rivolti soprattutto alle mitiche
staffette podistiche che già si svolgevano
prima della guerra.
I ricordi personali
mi riportano al 1956 quando partecipai
ad una corsa che oggi sembrerebbe
inusuale. La competizione aveva luogo
al termine della processione di San Jacopo
che si svolgeva nel cuore del paese,
nella centralissima Via Cavour.
Il viadotto
della Turrite ancora non esisteva
ed il percorso degli atleti si sviluppava
“ad andata e ritorno”. Infatti i primi staffettisti
partivano “sul ponte” imboccando
via Cavour fino all’allora negozio Poli,
qui il cambio del testimone: avveniva
frontalmente e appena ricevuta la torcia
luminosa del compagno che lo incrociava,
il secondo atleta partiva in senso
contrario e dando il cambio successivo
sul ponte, gli ultimi staffettisti tagliavano
il traguardo davanti al municipio.
I cambi erano particolarmente difficoltosi
perchè, con tratti così brevi, i corridori
erano sempre abbastanza vicini ed
i quattro in partenza andavano incontro
ai quattro compagni in arrivo.
Si può immaginare
la confusione che si verificava,
considerando che non c’erano corsie e
l’illuminazione era abbastanza carente
all’epoca.
Personalmente ricordo di
essere stato investito da un avversario
alla partenza, con caduta del testimone
che recuperai velocemente, soprattutto
non ho mai dimenticato quando arrivai
al cambio “dal Poli” in salita con uno degli
avversari che, partendomi di fronte in
discesa, mi stese al suolo.
Una delle particolarità di allora era che
non esistevano suddivisioni rionali definite
e partecipavano numerosi gruppi
scelti fra singole località.
C’erano i rappresentanti
di Via Cvour, del Colletto,
del Castello, del Muretto, della Mandria,
di Via Serchio e così via; tant’è vero che
nella stessa serata si svolgevano le fasi
elimintatorie e la finale.
Negli anni successivi,
almeno saltuarmente continuò
la tradizione della staffetta che cambiò
però sfidanti e percorsi.
Dopo la realizzazione della Via della Repubblica
la gara diventò più lunga ed i
cambi avvennero regolarmente, trasferendosi
nella parte più nuova del paese,
con l’arrivo davanti a “Villa Simonini”; la
sfida era però soprattutto fra Gallicano
ed i paesi vicini, storici avversari. Fino a
quando, alla fine degli anni sessanta, l’allora
Sindaco dottor Gastone Lucchesi
si fece promotore della costituzione del
“Comitato per i festeggiamenti di San Jacopo”.
Il Comitato, che mi volle Presidente,
si impegnò in varie manifestazioni, fra
cui ebbe spicco un singolare ed apprezzato
concorso ippico, ma soprattutto fu
ripristinata l’antica tradizione della staffetta
paesana.
Fu in quel periodo che si iniziò a dare un
certo ordine alla suddivisione del paese
in rioni, che trasse in parte ispirazione
dalle antiche contrade di Gallicano.
Nacquero così quasi spontaneamente,
ma già con un certo spirito di sfida, la
Roccaforte, la Strettoia, i Bufali e la Dinamite
(diventata dopo poco tempo il
Monticello).
Anche il percorso divenne quello attuale,
dato che nel frattempo era stato
realizzato il viadotto sul torrente Turrite.
E’ divertente a questo punto ricordare
come avvenne la scelta dei colori rionali:
qualche giorno prima della manifestazione
con altri componenti del
Comitato, mi ritrovai, come succedeva
frequentemente, presso l’orologeria
dell’amico Gualtiero Ponziani, in piazza
Vittorio Emanuele, anche lui membro
del Comitato.
In quell’occasione fu rilevato
che i rioni non disponevano di un
abbigliamento decoroso per gareggiare,
così mi recai nel magazzino di Frida
Simonini per reperire il necessario; servivano
delle cannottiere colorate per
distinguere i diversi rioni.
Fu abbastanza
semplice trovare quattro magliette azzurre,
quattro verdi, quattro rosse, ma
poi quelle colorate erano esaurite e non
rimase che prenderne quattro bianche.
Tornato in piazza con le cannottiere da
assegnare, furono fatti quattro biglietti,
ciascuno indicante un colore ed altrettanti
con i nomi dei rioni, inseriti in due
scatole e chiamato un bambino che
passava davanti al negozio del Ponziani,
gli facemmo estrarre gli abbinamenti.
Nessuno ha mai ricordato chi fosse questo
piccolo inconsapevole bambino che
ha dato il via ad un appassionato attaccamento
ai colori rionali.
Le manifestazioni di san Jacopo hanno
iniziato però ad assumere un’altra veste
ed un’altra importanza dagli inzi degli
anni settanta, quando fu fondata la Proloco.
Il nostro paese incominciò a vivere
fasi entusiasmanti in particolare nell’ambito
del folklore, nella cura dell’immagine
e nel recupero delle tradizioni.
Era cresciuto l’orgoglio ed il senso di appartenenza
al rione, oltre al forte sentimento
con cui la popolazione viveva la
serata della staffetta.
I rioni iniziarono fin dal giorno precedente
la “Luminara” a scorazzare per il
paese con stravaganti figure e sorprendenti
marchingegni che esaltavano il
proprio rione deridendo gli altri.
A Sant’Andrea, con Giuliano Brogi, avevamo
rivestito di cartone l’Ape di Roberto
Biagi, dipingendola e colorandola in
modo da assomigliare all’arco conosciuto
come “Arco di Francesco V duca di Modena”.
La realizzazione era stata appositamente
eseguita in un’aia adiacente
alla strada di Sant’Andrea (l’Aia del Palletta),
in modo da esser vista da chiunque
per stimolare la creatività degli altri rioni.
Queste iniziative rionali ebbero un tale
successo che spinsero la Proloco nascente
a far confrontare i rioni con il loro
spirito creativo, la capacità realizzativa
ed il grande impegno di tantissimi che
hanno portato il Palio nel suo complesso,
all’attuale straordinario successo.
Pierluigi Angelini
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2, luglio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"
martedì 13 ottobre 2015
Gli auguri del Sindaco
racconterà le novità,
ma avrà uno sguardo attento anche
sul passato e sulle nostre tradizioni.
Da
subito l’amministrazione comunale ha
accolto questo progetto che rientra a
pieno titolo nel programma di diffusione
dell’informazione e della comunicazione
che abbiamo proposto ai Gallicanesi.
Sono felice di sapere che ci sono persone,
ricche di curiosità e competenze, che
finalmente hanno voglia di portare nelle
case di ogni famiglia Gallicanese quanto
di interessante c’è da raccontare sul nostro
territorio.
Auguro al gruppo di collaboratori
de L’Aringo di allargarsi sempre
più e che la distribuzione riesca a varcare
le soglie del nostro comune.
Ci sono molti
compaesani che vivono lontano da qui e
che saranno molto lieti e grati di ricevere
questo “giornalino paesano” che li aiuterà
a sentirsi vicini e a mantenere i legami
con le proprie origini.
David Saisi – Sindaco di Gallicano
domenica 11 ottobre 2015
La Pietra Miliare del Palio: la Proloco
Sicuramente non ci sarebbe stato il Palio
di San Jacopo così come lo conosciamo
oggi, se non fosse nata a Gallicano la
Proloco a cui dobbiamo rendere il merito,
insieme ai Rioni, per aver dato lustro
e continuità a questa manifestazione .
La prima Proloco nacque nel 1971 sotto
la spinta di un’aria nuova che si respirava
in quegli anni, anni caratterizzati da una
rivoluzione economica culturale che si era estesa in tutta Italia, arrivando anche
a Gallicano, piccolo paese di provincia
dall’animo certamente passionale e vivace,
ma con pochi mezzi.
I soci fondatori della Proloco erano Gallicanesi
Doc che capirono le esigenze
di una comunità che si voleva sfidare e
divertire, e dopo l’idea di competizioni
sportive, inventarono il Palio.
Erano in tanti, pieni di voglia di fare, e a
braccio, visto che i documenti di allora
non si trovano più, ne ricordiamo alcuni,
Renzo Adami, Gualtiero Ponziani, Silvano
Valiensi, Gabriello Simonini, Pierluigi
Angelini, Pietrantonio Greco, Moni Donato,
il sindaco Gastone Lucchesi, e tanti
tanti altri.
Nella relazione del primo anno si legge
che “l’attività si è particolarmente orientata
verso l’organizzazione di manifestazioni
folkloristiche, sportive e di carattere
vario, anche se, nello stesso tempo non è
mancato l’interessamento verso gli Enti
competenti per sollecitare la realizzazione
delle opere atte al miglioramento ambientale
per le quali avevamo preventivato la
nostra attenzione”.
Ancora oggi, è il leitmotiv dell’Associazione,
che numerose persone nel tempo,
hanno portato avanti, mantenendo
l’amore per il territorio e lo spirito goliardico
e competitivo di una comunità
tutta; hanno continuato imperterrite
a lavorare per questa nostra terra e soprattutto
per il Palio, che ha dello straordinario
pensando all’esiguità della
popolazione; in quarant’anni di vita, nonostante
difficoltà economiche e contingenti,
la Proloco ha svolto un lavoro
immane, e insieme ai volontari dei rioni,
è riuscita a far sì che il Palio di San Jacopo
diventasse quello che conosciamo oggi,
uno spettacolo che non ha eguali nella
valle, conosciuto e amato da migliaia di persone, che puntualmente arrivano da
molte località nelle piazze di Gallicano
nelle due fantastiche sere di luglio.
Il nostro grazie va ad un numero sconfinato
di persone che amavano e amano
questo nostro paese, dal primo Presidente
Renzo Adami all’odierno Sandro
Giannoni, non dimenticando Pietrino
Fabbri, Valter Vanni, Carlo Della Nina,
Umberto Mucci, Guido Montagnani,
Luca Landi, Pietrantonio Greco.
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2, luglio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"
mercoledì 30 settembre 2015
Gallicanesi nel Mondo: Piero e Liliana
Piero Toti era un baldo giovane di Turritecava
che nel 1939, alla tenera età di
dodici anni, lavorava come barcaiolo
trasportando le persone da Turritecava
a Ponte all’Ania.
Nel 1941 le due
sponde furono collegate da un ponte
in cemento e, complice una piena che
spazzò via la piccola barca, Piero decise
di andare a lavorare alla SMI. Dopo circa
tre anni i tedeschi presero la dirigenza
dello stabilimento e i più giovani furono
spediti a lavorare pesantemente in
Pianse. Pierino resistette poco a quel
trattamento e un giorno decise di fuggire;
scappò gambe levate in un burrone
dormendo sopra rocce e sprocchi.
Finita la guerra aiutò l’esercito a bonificare
la zona dalle bombe e lavorò per i
soldati americani. La svolta della vita di
Piero arrivò tramite un suo parente che
lo fece andare a lavorare alla Croce di
Malta, uno dei migliori alberghi di Lido
di Camaiore, come tuttofare.
Da Lido di
Camaiore andò a Firenze in un albergo
della stessa proprietà, continuando a lavorare
senza sosta. Nel 1951 la decisione
più importante della sua vita: vado
in Australia. Un viaggio lunghissimo in
nave, un mese, partendo da Genova e
attraversando il Canale di Suez con una
sola sosta per scaricare tonnellate di
patate che il Papa aveva inviato ai bisognosi.
La nave, enorme, era dell’esercito
americano che finita la guerra aveva lasciato
in Italia; faceva parte della Flotta
Lauro e il suo nome italianizzato era
“Siurrento”, anche se molti la chiamavano
“Sorrento”. In Australia Pierino aveva
sua sorella che lo aspettava e tutti e
due abitavano in una pensione, visto
che in quel periodo non c’erano assai
case per tutti. Il primo lavoro che riuscì
a trovare fu in una fabbrica di mille
operai che produceva macchinari agricoli.
Essendoci molto lavoro si poteva
facilmente cambiare aria e Pierino finì a
lavorare per la General Motors, ma, non
amando troppo stare al chiuso, iniziò
a cercare un’altra ditta che potesse assumerlo.
La possibilità arrivò con la MP
Petrolio Installation, una compagnia
legata alla Shell che poteva veramente
dare la sicurezza e la stabilità, oltre ad
un buon stipendio; Piero provò a fare
domanda, con il suo inglese stentato,
credendoci poco, ma in fondo non
aveva molto da perdere. La sua tenacia
fu premiata e la MP Petrolio Installation
lo assunse per costruire e fare manutenzione
delle stazioni di rifornimento.
Il carattere e la continua ricerca di migliorarsi
però non tardarono ad emergere,
ed anche in questo caso non si
accontentò ma decise di mettersi in
proprio distribuendo macchine da divertimento.
Il successo in questo campo
gli ha permesso di arrivare ad una
tranquilla pensione tra l’amore di sua
moglie, dei suoi figli e delle nipoti. A
questo punto facciamo un salto temporale
e torniamo in Italia, esattamente
nel dopoguerra. Liliana Agostini era
una bella ragazza di quindici anni che
un giorno dell’immediato dopoguerra,
seduta sul muretto del paese, osservava
una carovana di “zingari” che provenivano
dalla Jugoslavia; i loro colorati
vestiti e i particolari carri avevano attratto
l’attenzione della giovane Liliana.
Tutto ad un tratto, voltandosi, notò un
giovane con l’uniforme americana che
scendeva le scale e scoccò immediatamente
la scintilla dell’amore; il fiero
giovanotto era proprio il nostro Pierino.
Liliana all’età di quindici anni lavorava
al Palagi e studiava per poter prendere
la licenza media; cuciva e studiava a
giornate.
Gli sforzi furono ripagati e la
giovane Liliana riuscì ad andare nella
città di Pisa per un corso di infermiera;
superati brillantemente gli studi, lavorò
per un paio di anni all’ospedale di Pisa.
Nel frattempo i due innamorati separati
da 30 giorni di nave non si erano certo
abbandonati, e galeotte furono le lettere
che Piero scriveva a Liliana. Tra una
lettera e l’altra Liliana prese la decisione
della vita; vado in Australia. Era il 1960 e
la bella Liliana fece i bagagli e si imbarcò
a Genova con rotta Australia; trenta
lunghissimi giorni di nave con sosta in
Africa. Il 23 aprile 1960 Pierino e Liliana
convogliarono a nozze, coronando così
il loro sogno d’amore nato nel piccolo
paesino di Turritecava. Dal matrimonio
e dall’amore di Pierino e Liliana sono
nati Roberto e Tania, che a sua volta si
sono sposati con Kelly e Michael. Il cerchio
della vita si è chiuso con quattro
splendide nipotine: Gabriella, Elise, Danielle
e Lauren.
Tra le tante avventure
e disavventure che Pierino racconta,
risalta un piccolo aneddoto tutto italiano
che racchiude il nostro spirito di
adattamento all’estero. Nel porto aveva
attraccato una nave di immigrati italiani,
molti dei quali della bassa Italia, e
mentre attendevano le pratiche burocratiche
parlavano urlando con i familiari
che li attendevano sulla banchina.
“Com’è l’Australia” - urlavano dalla nave
- “Bellissima” - rispondevano dalla terra
ferma. “Ma con l’inglese, come si fa, è
difficile?”. “Difficile?” - rispondevano i familiari
– “è facile impararlo, tutto al contrario”.
“Le strade sono grandi come le
nostre piazze e le chiamano Strit (street
in inglese si pronuncia strit), i pullman
sono a due piani, altissimi e li chiamano
Bas (bus in inglese si pronuncia bas)”.
Nel 1969 a Melbourne è stato aperto
uno splendido Toscana Club, il nostro
Pierino è uno dei soci fondatori.
P.S. la nave Surriento fu acquistata nel
1949 dalla Soc. americana Grace Line e
cambiò il suo nome in Surriento (ex-
Barnett, ex-Santa Maria). Si trattava di
un residuato bellico danneggiato in
chiglia durante lo sbarco degli Alleati
in Sicilia.
Simone Alex Sartini
lunedì 28 settembre 2015
Vi presento l'Aringo di Gallicano
Niente nasce per caso... nemmeno il
titolo di questo nuovo giornale ha lasciato
il suo nome al fato e la denominazione
“L’Aringo” nasce per due motivi.
Primo perché questo è uno dei luoghi
simbolo di Gallicano, il paese lo vediamo
sempre rappresentato così in foto
e cartoline: il maestoso San Jacopo e
davanti a sé il piazzale denominato
appunto Aringo. Il secondo motivo è
più viscerale, intimo e va a scavare in
quell’anima ciarliera che è una caratteristica
dei gallicanesi, lo spirito combattivo
porta a dire sempre la nostra,
a confrontarci, a discutere e così sarà
anche per questo giornale; una voce
libera di racconti, idee, progetti e notizie
nel rispetto di tutto e tutti, un po’
proprio com’era l’Aringo nel Medioevo
a Gallicano, un “parlatorio” a cielo aperto.
Ma guardiamo di addentrarci un po’
nell’argomento e andiamo a scavare
nella storia di quello che è ed era l’Aringo
per Gallicano. Intanto andiamo a vedere
l’etimologia del nome e veniamo
a sapere che per gli Accademici della
Crusca Arengo, Arringo e Aringo hanno
lo stesso significato, e proprio la terza
eccezione (anche se delle tre è la meno
usata) è quella a noi gallicanesi più cara
e familiare...ma andiamo avanti.
L’origine del nome va ricercata nel germanico hring (nel tedesco moderno ring) che significa appunto cerchio, anello inteso in questo caso come luogo di adunanza. Sembra che questa parola fu importata dagli Ottoni (casata di imperatori del Sacro Romano Impero) provenienti dalla Sassonia (Germania) nella sua discesa in Italia nel 962; fu infatti nel XII secolo che nacque a Gallicano e nell’intera Italia medievale l’Aringo, inteso proprio come luogo dove i cittadini si riunivano in assemblea per discutere dei problemi comuni ed eventualmente deliberare.
L’origine del nome va ricercata nel germanico hring (nel tedesco moderno ring) che significa appunto cerchio, anello inteso in questo caso come luogo di adunanza. Sembra che questa parola fu importata dagli Ottoni (casata di imperatori del Sacro Romano Impero) provenienti dalla Sassonia (Germania) nella sua discesa in Italia nel 962; fu infatti nel XII secolo che nacque a Gallicano e nell’intera Italia medievale l’Aringo, inteso proprio come luogo dove i cittadini si riunivano in assemblea per discutere dei problemi comuni ed eventualmente deliberare.
La stessa assemblea si
poteva chiamare concio o parlamentum
e solitamente si svolgeva al cospetto
della cattedrale, del duomo, o
della chiesa principale; erano le uniche
costruzioni ad avere una certa importanza
ed avevano un decoro morale
ed estetico.
L’Aringo di Gallicano, inteso
come riunione di cittadini, nacque
insieme alla sua chiesa principale, San
Jacopo, nel XII secolo. Abbiamo notizia
di una delle prime assemblee intorno
al 1150, quando Gallicano fu preda di
un impulso di libertà.
Il giogo feudale
stava pesando ai gallicanesi; i nobili di
Corsara e Vallecchia da Seravezza, padroni
(nel vero senso della parola) del
paese, avevano fatto tirare un po’ troppo
la cinghia al popolo, che ridotto allo
stremo aspirava a migliori condizioni di
vita. Iniziarono i movimenti di ribellione
e proprio sull’Aringo il popolo si riunì
per la prima volta decidendo di fermare
i soprusi.
L’importanza dell’evento
fu tale che anche negli anni a venire
le riunioni sull’Aringo non furono più
improvvise e occasionali, ma vennero
convocate e presiedute dai nobili stessi
di Corsara e Vallecchia; dal rischio di
essere spodestati allo scendere a patti
con i gallicanesi stessi.
Vennero scelti i
capi assemblea, i quali fissarono quattro
adunanze l’anno nei mesi di marzo
maggio luglio e settembre, oltre ogni
volta che la straordinarietà del caso lo
richiedeva; potevano intervenire tutti
gli appartenenti a qualsivoglia classe
sociale. L’assemblea era indetta dal magistrato
cittadino che invitava il popolo
a partecipare attraverso una campana
(cum campana ad arengam) e deliberava
per acclamazione al grido “fiat, fiat”
(fatto, fatto).
La delibera veniva così
approvata e si approvava veramente di
tutto: guerre, alleanze, disposizioni di
territori, diatribe interne, elezione dei
pubblici ufficiali che in loco prestavano
giuramento. Tutto nasceva nell’allora
indissolubile connubio con la Chiesa,
perché oltre a svolgersi incontri con
i cittadini, nell’Aringo si svolgevano
anche incontri religiosi.
A Gallicano il
tutto avveniva esclusivamente nel piazzale
antistante al duomo di San Jacopo.
Ma com’era disposto e organizzato
l’Aringo? Innanzitutto vi era un luogo
per oratori, la cosiddetta “Parlera”, a cui
accedevano il magistrato cittadino, le
autorità o il pievano.
A Gallicano ancora
oggi vi sono tracce di questa “Parlera”;
nella facciata di San Jacopo, tra il campanile
e la scalinata d’ingresso, si possono
ancora vedere sul muro (vedi foto
a sinistra) la presenza delle due vecchie
pietre colonnari che formavano un
portale, oggi murato, con sopra un
arco in pietra scolpita (due serpenti, di
raffigurazione gotica), a cui si accedeva
dall’interno della chiesa.
Il portale era
molto stretto, appena di passaggio per
una persona, alto circa due metri ed attraverso
questa piccola porta si poteva
accedere ad un palco forse coperto da
un tettuccio. Con il passare dei secoli
le adunanze per acclamazione divennero
un lontano ricordo, ed il modo
di gestire la cosa pubblica cambiò radicalmente:
potere trasferito ai comuni
e cittadini che avevano la possibilità
di eleggere un loro rappresentante.
L’Aringo fu trasferito nelle cosiddetta
casa comunale, oggi Palazzo Bertini, e
proprio sopra il porticato d’ingresso vi
è una terrazza che nel passato poteva
svolgere il ruolo di “Parlera”; dalla terrazza
venivano annunciate le decisioni
prese dinanzi a quella che non a caso
oggi si chiama Piazza del Popolo.
Nel
cuore di tutti i gallicanesi però rimane e
rimarrà sempre l’Aringo di San Jacopo.
Paolo Marzi
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015
Paolo Marzi
Gruppo Sbandieratori e Musici di Gallicano: come tutto ebbe inizio
Un momento
emozionante è stata l’esibizione
dei “vecchi” Sbandieratori, anch’essi
vittoriosi nella Grande Squadra proprio
a Gallicano nel lontano 1994 e la commozione
è stata grande per i presenti;
d’altronde dal 1974 questo gruppo ci allieta
con le sue bandiere colorate e con
il suono dei suoi tamburi. Quarant’anni
di storia gallicanese, una moltitudine di
ragazzi ne hanno fatto parte, vedendo
il succedersi di generazioni, padri, figli,
fratelli e amici.
Conosciuti da tempo in
tutta Italia gli Sbandieratori sono un
orgoglio per il paese, ma in molti, anche
a Gallicano, ne ignorano l’inizio, il
seme da cui è maturata questa bella
realtà gallicanese.
Era il lontano 1973 e
all’interno dell’allora Rione Roccaforte
(insieme alla Strettoia è diventato l’attuale
Borgo Antico) si discuteva della
sfilata al seguito dei carri allegorici per
il nascente Palio di San Jacopo. Essendo
il Rione della parte storica di Gallicano,
si pensò ad una sfilata in costume d’epoca,
abiti medievali meravigliosi al
seguito di una carrozza per rimembrare
la Vicaria di Gallicano suddita di Lucca
ma… mancava qualcosa.
Un signore
propose di arricchire la sfilata con degli
Sbandieratori che potessero dare “movimento”:
questo signore era Giovanni
Biagioni detto “Giona”, un brillante tassista.
Avendo parenti a Querceta, dove si
teneva da anni il Palio dei Micci, aveva
visto più volte il corteggio storico con
gli Sbandieratori; fu così contattato il
Gruppo Sbandieratori di Querceta che
riempì la sfilata del 25 luglio 1973.
Per le
misere casse del Rione fu un bell’esborso
pagare questi Sbandieratori, per cui
l’anno seguente si cercò bene di imparare
a sbandierare. Mosso dall’entusiasmo,
Adolfo da Prato detto “Pulcino”
si armò di cinepresa e andò a filmare
gli Sbandieratori di Querceta, che allo
stesso tempo vennero a Gallicano per
un pomeriggio ad insegnare due soli
movimenti ai ragazzi della Roccaforte:
l’Otto e la Ruota. I ragazzi gallicanesi
mossero i primi passi e guardando il
video del Pulcino iniziarono ad inventare
nuovi movimenti, che pian piano
si fecero sempre più complicati. Restava
il problema di costruire le bandiere
particolari che servono per sbandierare,
anch’esse di un costo elevato, per
cui fu comprata una bandiera dagli
Sbandieratori di Querceta e smontata
in tutte le sue parti per vedere come
era composta.
A questo punto entrò in
gioco Bruno Baldacci, che, dopo aver
costruito le prime bandiere con legno
di frassino in modo artigianale, diventò
un vero e proprio esperto nella piombatura
del manico grazie ai piombini
forniti da Filippo di Maggio, titolare
di una carrozzeria anche lui del Rione
Roccaforte.
I ragazzi della Roccaforte e
non solo, furono presi dall’entusiasmo
e con un impegno lodevole si allenarono
per tutto l’anno sull’Aringo e nella
piazzetta Sbandieratori, che allora era
un piccolo spazio in mezzo alle vecchie
macerie della seconda Guerra mondiale:
pomeriggi interi con le bandiere
e un tamburo per dare il tempo.
Questo
gioco portò una sferzata di novità
nel piccolo mondo di Gallicano, giorni
nostalgici di un’epoca lontana quando
con poco ci si divertiva. Il 25 luglio 1974
fu tutto pronto e nove ragazzi si esibirono
all’interno della sfilata del Rione
Roccaforte per il Palio di San Jacopo:
Alberto Saisi, Carlo Puccetti, Adolfo
Da Prato, Giulio Baldacci, Angelo Torri,
Giuseppe Simonini, Marco Suffredini,
Giampaolo Tognocchi e Ubaldo Bertoli.
L’esibizione fu un grande successo e
quel giorno, inconsapevoli del cammino
glorioso che li avrebbe attesi, otto
ragazzi diedero vita al Gruppo Sbandieratori
e Musici di Gallicano; una brillante
e solida realtà che ha instillato negli
anni a venire passione e amore nei giovani
del paese verso questo gioco antico
ed affascinante.
Un sentito grazie
da parte de L’Aringo a Bruno Baldacci,
Adolfo Da Prato, Giovanni Biagioni e Filippo
Di Maggio, che insieme ai ragazzi
di allora, ai loro genitori, hanno contribuito
con volontà e mezzi alla nascita
del Gruppo, portando in alto il nome
di Gallicano in tutta Italia e all’estero.
Dopo quarant’anni “il ragazzo” Giulio
Baldacci continua a tirare le fila dell’associazione;
una perseveranza che denota
la tenacia di tramandare tradizioni
e passione nel futuro della comunità.
Antonella Cassettari
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015
sabato 26 settembre 2015
Tesseramento socio sostenitore anno 2016
Per la fiera di Gallicano, domani 27 settembre la redazione del giornale sarà presente in Piazza Vittorio Emanuele con un banchettino per il tesseramento annuale per diventare socio sostenitore per l'anno 2016. Il costo sarà di solo 5 € a tessera. Tutti coloro che vorranno aderire li aspettiamo domani in piazza !!!
giovedì 24 settembre 2015
L'Aringo numero 2 - versione digitale
In attesa del 3° numero del giornale l'Aringo che sarà consegnato da sabato, postiamo per tutti la versione digitale del numero 2 speciale Palio di San Jacopo
Buona lettura!
mercoledì 23 settembre 2015
Abbonamento annuale per i non residenti
Tra pochi giorni sarà in uscita il terzo numero de "L'Aringo, il giornale di Gallicano", visto il notevole successo del giornale oltre i confini comunali la redazione ha deciso di fare contenti anche gli amici “vicini di casa" e ha pensato a loro facendo così un abbonamento annuale (4 numeri) al costo di 15 €.
Le 15 € andranno interamente a ricoprire il costo della spedizione postale a casa dell'abbonato più la tessera di socio sostenitore.
Chi fosse interessato può scrivere all'indirizzo di posta elettronica: redazionearingo@gmail.com, lasciando nome, cognome ed indirizzo, in seguito verrà ricontattato in breve tempo dalla redazione.
N.b.: il servizio (come detto) riguarda solamente i lettori che abitano FUORI dal comune di Gallicano.
giovedì 17 settembre 2015
E la minestrella salì sul carro
- Maestra Duse, ci dà una mano?
- Abbiamo bisogno di lei, delle sue idee e del suo pennello.
E la risposta ci fu: la Duse pensò progettò, pitturò lassù nell’altana della Giulia Carnicelli dove nelle notti “bianche” dal sapore di Palio, arrivava l’odore (spesso soltanto quello) delle profumate pizze delle donne mogli e madri.
E’ in questo clima che nacque, crebbe e brillò quel luminoso carro che si chiamò “Minestrella”; al seguito ”focacce leve” e “I cicciori”.
Fu vinto nel 1974 dal Rione Monticello il Miglior Complesso Folkloristico. La vittoria fu seguita da commenti pungenti. “Si, Palio degli scappini, che sono piaciuti a ...” (Nella sfilata, i figuranti avevano calzato gli scappini, calzatura tipica gallicanese).
Il lavoro dei contendenti si faceva sentire, ma era parte essenziale della gara che rendeva Gallicano un alveare, dove il ronzio a più colori, era sempre quello: “Quest’anno si vince noi!”
Ogni paese di un territorio ha la sua storia, cultura, dialetto e tradizioni, soprattutto culinarie. Anche Gallicano è uno di questi paesi, ma per quanto riguarda la tradizione culinaria, Gallicano paese ha una sua ricetta particolare non riscontrabile in altri paesi anche al di fuori della nostra Provincia di Lucca: la minestrella.
Questa ricetta storica ultracentenaria,
che si perde nella notte dei tempi, è una
minestra che può essere fatta con tantissime
erbe di campo oltre trenta varietà,
in gergo locale “erbi boni”.
Come nasce un piatto storico con prodotti
esclusivamente del territorio? Questo
è un piatto con ingredienti semplici
messi a disposizione da madre natura
senza doverli coltivare e che l’ingegno e
la conoscenza dei contadini di una volta,
sapevano distinguere molto bene.
Tutti
erbi, che oggi definiamo come fitoalimurgia,
nel tempo chiamati ovviamente
con nomi dialettali. Questa conoscenza,
tramandata oralmente da secoli di generazione
in generazione, fino agli anni
sessanta del secolo scorso, oggi purtroppo
sta scomparendo, causa l’evoluzione
industriale e tecnologica mondiale.
Gallicano, nei tempi passati, era un
paese di contadini e non avendo grandi
poderi da coltivare, gli uomini andavano
a fare anche lavori stagionali in Corsica e
altre zone, pertanto le donne dovevano
farsi carico, oltre che lavorare nei campi,
sfamare le loro famiglie nei momenti
più difficili.
Da considerare che Gallicano,
a diversità dei paesi garfagnini, era
in fondovalle lungo il fiume Serchio, con
poche selve di castagno e lontane, sul
monte Palodina, rispetto gli altri paesi
che erano contornati da castagni e avevano
a disposizione più farina di neccio
per nutrirsi giornalmente.
Allora, le
donne del paese, avendo questa conoscenza
fitoalimurgica, rimediavano, raccogliendo
nei loro campi diversi tipi di
erbi e li cucinavano in vari modi. Il piatto
base era composto da queste varietà di
erbi lessati in acqua con fagioli giallorini
e l’aggiunta, quando c’era, di un pezzetto
di lardo, osso di maiale o cotenne
come condimento, che trovavano in
base alla stagionalità.
Per quanto riguarda
la minestrella di Gallicano, non esiste
una vera e propria ricetta, in quanto gli
erbi non erano mai gli stessi da una famiglia
all’altra, oltre poi alla stagione di
raccolta.
In base alla possibilità di scelta
di erbi amari o dolci a disposizione del
momento, questa ovviamente poteva
essere più o meno saporita, ma in quei
tempi di miseria ovviamente non avevano
tempo per queste sofisticazioni.
Riporto qui sotto la ricetta base della minestrella.
Principali erbi usati:
Scabiosa columbaria “sporta vecchia”, Bellis perennis “margheritine”, Crepis leodontoides
“tassella”, Crepis sancta “cassellora”, Crepis vesicaria “radicchiella”, Cichorium
intibus “radicchio selvatico”, Cirsium arvense “stoppione”, Daucus carota “pastineggio”,
Foeniculum vulgaris “finocchio selvatico”, Hypochoeris radicata “ingrassaporci”,
Papaver rhoaes “rosolaccio”, Plantago lanceolata “orecchie d’asino”, Plantago
major “lingua di vacca”, Ranunculus ficaria “favagello”, Reichardia picroides “sassaiolo”,
Silene alba “orecchiette”, Silene vulgaris “strigolo”, Soncus asper “cicerbita”,
Symphytum tuberosum “salosso”, Taraxacum officinale “piscialletto”, Campanula
trachelium “pizza corni”, Lapsana communis “lassana”, Primula vulgaris “primola”,
Raphanus raphanistrum “cavolo selvatico”, Rumex acetosa “zezzora”, Salvia pratensis
“salvia”, Sanguisorba minor “pimpinella”, Urtica dioica “ortica”, Viola odorata
“viola”.
Ricetta per 4 persone:
2 kg. Erbi freschi, 100 gr. Lardo, 500 gr. fagioli giallorini, aglio, cipolla, sale pepe.
Pulire gli erbi, affogarli nell’acqua con un poco di bicarbonato per circa mezz’ora,
successivamente lavarli bene e per quelli più amari lasciarli ancora circa due ore
nell’acqua per togliere l’amaro.
Lessare gli erbi, una volta lessati strizzarli dall’acqua
e tagliuzzarli finemente.
A parte fare un soffritto con aglio, cipolla, lardo tritato con
uno spicchio di aglio, rosmarino, a chi piace anche del peperoncino piccante.
Una
volta imbiondito, aggiungere gli erbi, una parte dei fagioli lessati e passati a purea e
una parte lasciati interi.
Allungare tutto con acqua, una parte di quella della bollitura
dei fagioli, regolare con sale e pepe.
Lasciare cuocere a fuoco lentissimo per circa due ore.
La minestrella ha una consistenza densa, ma non troppo, per dargli ancora più sapore
è consigliabile prepararla qualche ora prima e farla riposare, in tal caso la sua
consistenza aumenterà ed eventualmente potrà essere nuovamente allungata con
acqua, magari sempre della cottura dei fagioli, per riportarla a consistenza voluta.
Ottimo abbinamento a questo piatto, sono come da tradizione, i “mignecci”, focaccine
di farina di granturco o con aggiunta farina di grano, senza lievito e cotte nei testi.
Ivo Poli
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2 luglio 2015
Ivo Poli
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2 luglio 2015
lunedì 14 settembre 2015
Quando le gare sportive contavano
Ho sempre pensato che l’unico Palio di
San Jacopo vinto da un Rione per “meriti
sportivi” fosse stato il Monticello nel
1997, anno nel quale, il “carro e sfilata” fu
vinto dal Borgo Antico con “Occhio Pinocchio
ai… consigli per gli acquisti!” che
non bastò però a portarsi a casa il Cencio.
I troppi terzi posti alle gare sportive
del Borgo Antico, permisero al Rione Azzurro,
grazie alla vittoria del “Grand Prix”,
della “Staffetta femminile” e dei “Rioni
senza frontiere” - ve lo ricordate il famoso
“piatto di pasta asciutta dell’Otello”? – e
al secondo posto del carro “la Sirena”, di
strappare il Palio agli avversari.
E invece... proprio per le gare sportive,
il Monticello aveva già perso un Palio,
quello del 1974, a favore del rione Bufali!
Pur aggiudicandosi con “La minestrella” il
2° posto nel “Concorso A – miglior carro
allegorico” ed il primo posto nel “Concorso
B – miglior complesso di carri allegorici
e folkloristici”, il Monticello non riuscì ad
aggiudicarsi il Palio, arrivando ultimo al
Calcio, ultimo alla staffetta femminile e
3° alla staffetta maschile.
E qui ho un aneddoto da raccontarvi:
il mio babbo, il Nando, mi raccontava
che da giocatore aveva sempre vinto il
torneo di calcio rionale.
Negli anni ’70
vigeva la regola che potevi partecipare
alle gare sportive solo nel Rione in cui
avevi la residenza.
Ebbene, nel 1974 la
mia famiglia (io non ero ancora nato)
abitava in Falce ed il Nando, pur di partecipare,
dovette giocare con i Bufali che
si aggiudicarono appunto il primo posto
(Monticello 4°) e la vittoria del Cencio!
Nel ’72 e nel ’73 il torneo di calcio fu
vinto dal Monticello con il Nando a centrocampo!
Un uomo, una garanzia, un portafortuna,
di cui vado fiero.
Daniele Saisi
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano", anno 1 numero 2 luglio 2015
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano", anno 1 numero 2 luglio 2015
mercoledì 15 luglio 2015
L'Aringo - Speciale Palio di San Jacopo: iniziata la consegna
L'Aringo SPECIALE PALIO: numero dedicato alla festa che anima i cuori di tutti i Gallicanesi.
E' iniziata stamani la consegna casa x casa.
Buona lettura!
sabato 11 luglio 2015
L'aringo numero 1 - versione digitale
In attesa del giornale l'Aringo "Edizione Speciale Palio", che sarà consegnato la prossima settimana, postiamo per tutti la versione digitale del numero 1.
Buona lettura!
mercoledì 10 giugno 2015
Gallicano si ritrova nell’Aringo
Cultura, tradizione, e soprattutto voglia di entrare in punta di piedi nelle case dei gallicanesi. Con questi obiettivi, nelle scorse settimane, è nata l'associazione culturale "L'Aringo", che ha anche l'omonimo trimestrale di informazione locale.
L'Associazione Culturale l'Aringo risponde ad un esigenza di alcuni cittadini che si sono ritrovati spesso a parlare del proprio paese, della sua storia, di alcuni personaggi, e hanno pensato che la gallicanesità non fosse un optional, ma un sentire profondamente l'appartenenza ad un territorio, agli usi e costumi, all'amore per le molteplici tradizioni.
Lo scopo primario dell'Associazione quindi sarà il giornale che è già stato distribuito e che sta riscuotendo successi di critica, ma non mancheranno altre iniziative legate al territorio, al volontariato, alle numerose associazioni del Comune.
L'associazione presieduta da Antonella Cassettari è apartitica e il periodico non è organo ufficiale di alcun gruppo politico, ma tra i soci fondatori ci sono personaggi conosciuti per il loro impegno civico: Maurizio Bacchini, Lara Barbi, Alberto Billi, Antonella Cassettari, Paolo Marzi, Ivo Poli, Dino Ponziani, Riccardo Rigali, Daniele Saisi, David Saisi, Michela Saisi, Maria Paola Simi e Palmiro Valdrighi. Così come il finanziamento delle attività deriva esclusivamente dall'aiuto di sponsor privati.
Il nome de "L'Aringo" è un omaggio al luogo storico di ritrovo di generazioni di gallicanesi.
Nicola Bellanova – Il Tirreno
sabato 23 maggio 2015
Associazione Culturale l'Aringo
L'Associazione Culturale l'Aringo risponde ad un esigenza di alcuni cittadini che si
sono ritrovati spesso a parlare del proprio paese, della sua storia, di alcuni
personaggi, e hanno pensato che la gallicanesità non fosse un optional, ma un
sentire profondamente l'appartenenza ad un territorio, agli usi e costumi, all'amore
per le molteplici tradizioni, di gran lunga più antiche e diverse sotto molti aspetti, dai
paesi vicini.
Ci sono gli odori e i profumi di un territorio bellissimo e incontaminato, le
case, le chiese, le piazze, le persone, le frazioni, che a loro volta hanno una storia
che si intreccia con il capoluogo, e soprattutto c'è il bisogno di valorizzare tutto ciò.
Per non disperdere tutte queste peculiarità di Gallicano, per tramandarle alle
generazioni future, abbiamo pensato che un giornale paesano potesse essere il
miglior mezzo per arrivare a tutte le famiglie:
poter entrare in ogni casa per portare a
conoscenza la storia e le storie, esaltare il territorio, dare notizie e soddisfare
curiosità.
Sappiamo benissimo che internet sta superando tutte le forme di comunicazione,
ma il poter toccare con mano un giornale, stropicciarlo, conservarlo ha un fascino
tutto suo, considerando altresì che Gallicano è l'unico paese della zona a non avere
un giornale paesano.
Con questo intento e con caparbietà abbiamo costituito l'Associazione l'Aringo,
raccolto fondi e sponsor, e siamo riusciti a creare il giornale, un giornale che parte
umilmente nella speranza che possa iniziare un nuovo percorso di cultura popolare.
C'è infatti uno stretto legame fra la cultura che parte dal basso con la cultura intesa
come conoscenza, per cui partire da un semplice e umile giornale potrà far scoprire
passione per il nostro paese, iniziative nuove, creatività, leggendo il giornale un
semplice cittadino potrà scoprire aspetti che potranno stimolare un
approfondimento.
Lo scopo primario dell'Associazione quindi sarà il giornale, ma non mancheranno
altre iniziative legate al territorio, al volontariato, alle numerose associazioni del
nostro Comune, sarà uno scambio di interessi sempre riconducibili alla comunità,
comunità anche lontana dal paese, ma vicina con il cuore.
L'Associazione è senza scopo di lucro, è volontariato verso la terra natia e verso i
compaesani, è legame antico con i figli di quel “Cornelius Gallicanus” che pare aver
fondato Gallicano.
Soci fondatori
Maurizio Bacchini, Lara Barbi, Alberto Billi, Antonella Cassettari, Paolo Marzi,
Ivo Poli, Dino Ponziani, Riccardo Rigali, Daniele Saisi, David Saisi, Michela Saisi,
Maria Paola Simi, Palmiro Valdrighi.
Direttivo
Presidente: Antonella Cassettari
Vice presidenti: Ivo Poli e Paolo Marzi
Segretario: Michela Saisi
Tesoriere: Daniele Saisi
Associazione Culturale L'Aringo
Via Santa Lucia, 1
55027 Gallicano (LU)
P. Iva 02378310466 C.F. 90010560465
associazione.aringo@gmail.com
mercoledì 20 maggio 2015
Nasce a Gallicano una nuova realtà culturale: Associazione L'Aringo
Poter
esprimere il senso di appartenenza al
territorio, condividerlo con tutti mettendo
in luce la storia, usi e costumi,
luoghi, piazze, chiese, cibi, con aneddoti
di vita come piccoli fotogrammi
di una saggia comunità, diventa ricerca
delle nostre vere radici. Sotto questa
spinta, dopo svariati incontri è nata
l’Associazione culturale L’Aringo, fondata
il 6 ottobre 2014.
Lo scopo primario
del suo statuto è poter finalmente editare
un giornale di paese, come tutti i
comuni vicini hanno.
L’Aringo sarà il
giornale di Gallicano per mantenere
in vita tutte le tradizioni del territorio
e crearne di nuove: una finestra aperta
per ammirare il panorama che ci circonda.
Con buona volontà sono stati
cercati fondi e sponsor per coprire i
costi di pubblicazione, e molte persone
hanno collaborato felicemente a questa
piacevole iniziativa di volontariato
che parte con umiltà; il giornale sarà
gratuito e trimestrale.
L’associazione,
senza fini di lucro, potrà organizzare
mostre ed eventi culturali per ampliare
la conoscenza della cultura popolare
attraverso contatti fra persone ed associazioni,
promuovendo lo splendido
territorio dove risiede l’intera comunità.
Soci Fondatori: Daniele Saisi, Dino
Ponziani, Antonella Cassettari, David
Saisi, Maurizio Bacchini, Michela Saisi,
Paolo Marzi, Ivo Poli, Palmiro Valdrighi,
Lara Barbi, Riccardo Rigali, Alberto Billi,
Maria Paola Simi. Presidente Antonella
Cassettari, Vice Presidenti Ivo Poli e Paolo
Marzi, Segretario Michela Saisi, Tesoriere
Daniele Saisi.
Antonella Cassettari - Il Presidente
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