mercoledì 30 settembre 2015

Gallicanesi nel Mondo: Piero e Liliana

Piero Toti era un baldo giovane di Turritecava che nel 1939, alla tenera età di dodici anni, lavorava come barcaiolo trasportando le persone da Turritecava a Ponte all’Ania.
Nel 1941 le due sponde furono collegate da un ponte in cemento e, complice una piena che spazzò via la piccola barca, Piero decise di andare a lavorare alla SMI. Dopo circa tre anni i tedeschi presero la dirigenza dello stabilimento e i più giovani furono spediti a lavorare pesantemente in Pianse. Pierino resistette poco a quel trattamento e un giorno decise di fuggire; scappò gambe levate in un burrone dormendo sopra rocce e sprocchi. Finita la guerra aiutò l’esercito a bonificare la zona dalle bombe e lavorò per i soldati americani. La svolta della vita di Piero arrivò tramite un suo parente che lo fece andare a lavorare alla Croce di Malta, uno dei migliori alberghi di Lido di Camaiore, come tuttofare.
Da Lido di Camaiore andò a Firenze in un albergo della stessa proprietà, continuando a lavorare senza sosta. Nel 1951 la decisione più importante della sua vita: vado in Australia. Un viaggio lunghissimo in nave, un mese, partendo da Genova e attraversando il Canale di Suez con una sola sosta per scaricare tonnellate di patate che il Papa aveva inviato ai bisognosi. La nave, enorme, era dell’esercito americano che finita la guerra aveva lasciato in Italia; faceva parte della Flotta Lauro e il suo nome italianizzato era “Siurrento”, anche se molti la chiamavano “Sorrento”. In Australia Pierino aveva sua sorella che lo aspettava e tutti e due abitavano in una pensione, visto che in quel periodo non c’erano assai case per tutti. Il primo lavoro che riuscì a trovare fu in una fabbrica di mille operai che produceva macchinari agricoli. Essendoci molto lavoro si poteva facilmente cambiare aria e Pierino finì a lavorare per la General Motors, ma, non amando troppo stare al chiuso, iniziò a cercare un’altra ditta che potesse assumerlo.
La possibilità arrivò con la MP Petrolio Installation, una compagnia legata alla Shell che poteva veramente dare la sicurezza e la stabilità, oltre ad un buon stipendio; Piero provò a fare domanda, con il suo inglese stentato, credendoci poco, ma in fondo non aveva molto da perdere. La sua tenacia fu premiata e la MP Petrolio Installation lo assunse per costruire e fare manutenzione delle stazioni di rifornimento. Il carattere e la continua ricerca di migliorarsi però non tardarono ad emergere, ed anche in questo caso non si accontentò ma decise di mettersi in proprio distribuendo macchine da divertimento. Il successo in questo campo gli ha permesso di arrivare ad una tranquilla pensione tra l’amore di sua moglie, dei suoi figli e delle nipoti. A questo punto facciamo un salto temporale e torniamo in Italia, esattamente nel dopoguerra. Liliana Agostini era una bella ragazza di quindici anni che un giorno dell’immediato dopoguerra, seduta sul muretto del paese, osservava una carovana di “zingari” che provenivano dalla Jugoslavia; i loro colorati vestiti e i particolari carri avevano attratto l’attenzione della giovane Liliana. Tutto ad un tratto, voltandosi, notò un giovane con l’uniforme americana che scendeva le scale e scoccò immediatamente la scintilla dell’amore; il fiero giovanotto era proprio il nostro Pierino. Liliana all’età di quindici anni lavorava al Palagi e studiava per poter prendere la licenza media; cuciva e studiava a giornate.
Gli sforzi furono ripagati e la giovane Liliana riuscì ad andare nella città di Pisa per un corso di infermiera; superati brillantemente gli studi, lavorò per un paio di anni all’ospedale di Pisa. Nel frattempo i due innamorati separati da 30 giorni di nave non si erano certo abbandonati, e galeotte furono le lettere che Piero scriveva a Liliana. Tra una lettera e l’altra Liliana prese la decisione della vita; vado in Australia. Era il 1960 e la bella Liliana fece i bagagli e si imbarcò a Genova con rotta Australia; trenta lunghissimi giorni di nave con sosta in Africa. Il 23 aprile 1960 Pierino e Liliana convogliarono a nozze, coronando così il loro sogno d’amore nato nel piccolo paesino di Turritecava. Dal matrimonio e dall’amore di Pierino e Liliana sono nati Roberto e Tania, che a sua volta si sono sposati con Kelly e Michael. Il cerchio della vita si è chiuso con quattro splendide nipotine: Gabriella, Elise, Danielle e Lauren.
Tra le tante avventure e disavventure che Pierino racconta, risalta un piccolo aneddoto tutto italiano che racchiude il nostro spirito di adattamento all’estero. Nel porto aveva attraccato una nave di immigrati italiani, molti dei quali della bassa Italia, e mentre attendevano le pratiche burocratiche parlavano urlando con i familiari che li attendevano sulla banchina. “Com’è l’Australia” - urlavano dalla nave - “Bellissima” - rispondevano dalla terra ferma. “Ma con l’inglese, come si fa, è difficile?”. “Difficile?” - rispondevano i familiari – “è facile impararlo, tutto al contrario”. “Le strade sono grandi come le nostre piazze e le chiamano Strit (street in inglese si pronuncia strit), i pullman sono a due piani, altissimi e li chiamano Bas (bus in inglese si pronuncia bas)”.
Nel 1969 a Melbourne è stato aperto uno splendido Toscana Club, il nostro Pierino è uno dei soci fondatori.
P.S. la nave Surriento fu acquistata nel 1949 dalla Soc. americana Grace Line e cambiò il suo nome in Surriento (ex- Barnett, ex-Santa Maria). Si trattava di un residuato bellico danneggiato in chiglia durante lo sbarco degli Alleati in Sicilia.
 
Simone Alex Sartini
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

lunedì 28 settembre 2015

Vi presento l'Aringo di Gallicano

Niente nasce per caso... nemmeno il titolo di questo nuovo giornale ha lasciato il suo nome al fato e la denominazione “L’Aringo” nasce per due motivi. 
Primo perché questo è uno dei luoghi simbolo di Gallicano, il paese lo vediamo sempre rappresentato così in foto e cartoline: il maestoso San Jacopo e davanti a sé il piazzale denominato appunto Aringo. Il secondo motivo è più viscerale, intimo e va a scavare in quell’anima ciarliera che è una caratteristica dei gallicanesi, lo spirito combattivo porta a dire sempre la nostra, a confrontarci, a discutere e così sarà anche per questo giornale; una voce libera di racconti, idee, progetti e notizie nel rispetto di tutto e tutti, un po’ proprio com’era l’Aringo nel Medioevo a Gallicano, un “parlatorio” a cielo aperto. 
Ma guardiamo di addentrarci un po’ nell’argomento e andiamo a scavare nella storia di quello che è ed era l’Aringo per Gallicano. Intanto andiamo a vedere l’etimologia del nome e veniamo a sapere che per gli Accademici della Crusca Arengo, Arringo e Aringo hanno lo stesso significato, e proprio la terza eccezione (anche se delle tre è la meno usata) è quella a noi gallicanesi più cara e familiare...ma andiamo avanti.
L’origine del nome va ricercata nel germanico hring (nel tedesco moderno ring) che significa appunto cerchio, anello inteso in questo caso come luogo di adunanza. Sembra che questa parola fu importata dagli Ottoni (casata di imperatori del Sacro Romano Impero) provenienti dalla Sassonia (Germania) nella sua discesa in Italia nel 962; fu infatti nel XII secolo che nacque a Gallicano e nell’intera Italia medievale l’Aringo, inteso proprio come luogo dove i cittadini si riunivano in assemblea per discutere dei problemi comuni ed eventualmente deliberare. 
La stessa assemblea si poteva chiamare concio o parlamentum e solitamente si svolgeva al cospetto della cattedrale, del duomo, o della chiesa principale; erano le uniche costruzioni ad avere una certa importanza ed avevano un decoro morale ed estetico. 
L’Aringo di Gallicano, inteso come riunione di cittadini, nacque insieme alla sua chiesa principale, San Jacopo, nel XII secolo. Abbiamo notizia di una delle prime assemblee intorno al 1150, quando Gallicano fu preda di un impulso di libertà. 
Il giogo feudale stava pesando ai gallicanesi; i nobili di Corsara e Vallecchia da Seravezza, padroni (nel vero senso della parola) del paese, avevano fatto tirare un po’ troppo la cinghia al popolo, che ridotto allo stremo aspirava a migliori condizioni di vita. Iniziarono i movimenti di ribellione e proprio sull’Aringo il popolo si riunì per la prima volta decidendo di fermare i soprusi. 
L’importanza dell’evento fu tale che anche negli anni a venire le riunioni sull’Aringo non furono più improvvise e occasionali, ma vennero convocate e presiedute dai nobili stessi di Corsara e Vallecchia; dal rischio di essere spodestati allo scendere a patti con i gallicanesi stessi. 
Vennero scelti i capi assemblea, i quali fissarono quattro adunanze l’anno nei mesi di marzo maggio luglio e settembre, oltre ogni volta che la straordinarietà del caso lo richiedeva; potevano intervenire tutti gli appartenenti a qualsivoglia classe sociale. L’assemblea era indetta dal magistrato cittadino che invitava il popolo a partecipare attraverso una campana (cum campana ad arengam) e deliberava per acclamazione al grido “fiat, fiat” (fatto, fatto). 
La delibera veniva così approvata e si approvava veramente di tutto: guerre, alleanze, disposizioni di territori, diatribe interne, elezione dei pubblici ufficiali che in loco prestavano giuramento. Tutto nasceva nell’allora indissolubile connubio con la Chiesa, perché oltre a svolgersi incontri con i cittadini, nell’Aringo si svolgevano anche incontri religiosi. 
A Gallicano il tutto avveniva esclusivamente nel piazzale antistante al duomo di San Jacopo. Ma com’era disposto e organizzato l’Aringo? Innanzitutto vi era un luogo per oratori, la cosiddetta “Parlera”, a cui accedevano il magistrato cittadino, le autorità o il pievano. 
A Gallicano ancora oggi vi sono tracce di questa “Parlera”; nella facciata di San Jacopo, tra il campanile e la scalinata d’ingresso, si possono ancora vedere sul muro (vedi foto a sinistra) la presenza delle due vecchie pietre colonnari che formavano un portale, oggi murato, con sopra un arco in pietra scolpita (due serpenti, di raffigurazione gotica), a cui si accedeva dall’interno della chiesa. 
Il portale era molto stretto, appena di passaggio per una persona, alto circa due metri ed attraverso questa piccola porta si poteva accedere ad un palco forse coperto da un tettuccio. Con il passare dei secoli le adunanze per acclamazione divennero un lontano ricordo, ed il modo di gestire la cosa pubblica cambiò radicalmente: potere trasferito ai comuni e cittadini che avevano la possibilità di eleggere un loro rappresentante. 
L’Aringo fu trasferito nelle cosiddetta casa comunale, oggi Palazzo Bertini, e proprio sopra il porticato d’ingresso vi è una terrazza che nel passato poteva svolgere il ruolo di “Parlera”; dalla terrazza venivano annunciate le decisioni prese dinanzi a quella che non a caso oggi si chiama Piazza del Popolo. 
Nel cuore di tutti i gallicanesi però rimane e rimarrà sempre l’Aringo di San Jacopo.

Paolo Marzi

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

Gruppo Sbandieratori e Musici di Gallicano: come tutto ebbe inizio

 
A settembre 2014 si è tenuta la Parata Nazionale della Bandiera a Gallicano e i nostri amati Sbandieratori, come sempre, si sono distinti con onorevoli piazzamenti, vincendo la medaglia d’oro nel gioco della Grande Squadra e conquistando il terzo posto nella classifica di gruppo: una medaglia di bronzo nazionale che ci onora.
Un momento emozionante è stata l’esibizione dei “vecchi” Sbandieratori, anch’essi vittoriosi nella Grande Squadra proprio a Gallicano nel lontano 1994 e la commozione è stata grande per i presenti; d’altronde dal 1974 questo gruppo ci allieta con le sue bandiere colorate e con il suono dei suoi tamburi. Quarant’anni di storia gallicanese, una moltitudine di ragazzi ne hanno fatto parte, vedendo il succedersi di generazioni, padri, figli, fratelli e amici.
Conosciuti da tempo in tutta Italia gli Sbandieratori sono un orgoglio per il paese, ma in molti, anche a Gallicano, ne ignorano l’inizio, il seme da cui è maturata questa bella realtà gallicanese.
Era il lontano 1973 e all’interno dell’allora Rione Roccaforte (insieme alla Strettoia è diventato l’attuale Borgo Antico) si discuteva della sfilata al seguito dei carri allegorici per il nascente Palio di San Jacopo. Essendo il Rione della parte storica di Gallicano, si pensò ad una sfilata in costume d’epoca, abiti medievali meravigliosi al seguito di una carrozza per rimembrare la Vicaria di Gallicano suddita di Lucca ma… mancava qualcosa.
Un signore propose di arricchire la sfilata con degli Sbandieratori che potessero dare “movimento”: questo signore era Giovanni Biagioni detto “Giona”, un brillante tassista. Avendo parenti a Querceta, dove si teneva da anni il Palio dei Micci, aveva visto più volte il corteggio storico con gli Sbandieratori; fu così contattato il Gruppo Sbandieratori di Querceta che riempì la sfilata del 25 luglio 1973.
Per le misere casse del Rione fu un bell’esborso pagare questi Sbandieratori, per cui l’anno seguente si cercò bene di imparare a sbandierare. Mosso dall’entusiasmo, Adolfo da Prato detto “Pulcino” si armò di cinepresa e andò a filmare gli Sbandieratori di Querceta, che allo stesso tempo vennero a Gallicano per un pomeriggio ad insegnare due soli movimenti ai ragazzi della Roccaforte: l’Otto e la Ruota. I ragazzi gallicanesi mossero i primi passi e guardando il video del Pulcino iniziarono ad inventare nuovi movimenti, che pian piano si fecero sempre più complicati. Restava il problema di costruire le bandiere particolari che servono per sbandierare, anch’esse di un costo elevato, per cui fu comprata una bandiera dagli Sbandieratori di Querceta e smontata in tutte le sue parti per vedere come era composta.
A questo punto entrò in gioco Bruno Baldacci, che, dopo aver costruito le prime bandiere con legno di frassino in modo artigianale, diventò un vero e proprio esperto nella piombatura del manico grazie ai piombini forniti da Filippo di Maggio, titolare di una carrozzeria anche lui del Rione Roccaforte.
I ragazzi della Roccaforte e non solo, furono presi dall’entusiasmo e con un impegno lodevole si allenarono per tutto l’anno sull’Aringo e nella piazzetta Sbandieratori, che allora era un piccolo spazio in mezzo alle vecchie macerie della seconda Guerra mondiale: pomeriggi interi con le bandiere e un tamburo per dare il tempo.
Questo gioco portò una sferzata di novità nel piccolo mondo di Gallicano, giorni nostalgici di un’epoca lontana quando con poco ci si divertiva. Il 25 luglio 1974 fu tutto pronto e nove ragazzi si esibirono all’interno della sfilata del Rione Roccaforte per il Palio di San Jacopo: Alberto Saisi, Carlo Puccetti, Adolfo Da Prato, Giulio Baldacci, Angelo Torri, Giuseppe Simonini, Marco Suffredini, Giampaolo Tognocchi e Ubaldo Bertoli.
L’esibizione fu un grande successo e quel giorno, inconsapevoli del cammino glorioso che li avrebbe attesi, otto ragazzi diedero vita al Gruppo Sbandieratori e Musici di Gallicano; una brillante e solida realtà che ha instillato negli anni a venire passione e amore nei giovani del paese verso questo gioco antico ed affascinante.
Un sentito grazie da parte de L’Aringo a Bruno Baldacci, Adolfo Da Prato, Giovanni Biagioni e Filippo Di Maggio, che insieme ai ragazzi di allora, ai loro genitori, hanno contribuito con volontà e mezzi alla nascita del Gruppo, portando in alto il nome di Gallicano in tutta Italia e all’estero.
Dopo quarant’anni “il ragazzo” Giulio Baldacci continua a tirare le fila dell’associazione; una perseveranza che denota la tenacia di tramandare tradizioni e passione nel futuro della comunità.
 
Antonella Cassettari
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 1 maggio 2015

sabato 26 settembre 2015

Tesseramento socio sostenitore anno 2016

Per la fiera di Gallicano, domani 27 settembre la redazione del giornale sarà presente in Piazza Vittorio Emanuele con un banchettino per il tesseramento annuale per diventare socio sostenitore per l'anno 2016. Il costo sarà di solo 5 € a tessera. Tutti coloro che vorranno aderire li aspettiamo domani in piazza !!!

giovedì 24 settembre 2015

L'Aringo numero 2 - versione digitale

In attesa del 3° numero del giornale l'Aringo che sarà consegnato da sabato, postiamo per tutti la versione digitale del numero 2 speciale Palio di San Jacopo 

Buona lettura!


mercoledì 23 settembre 2015

Abbonamento annuale per i non residenti


Tra pochi giorni sarà in uscita il terzo numero de "L'Aringo, il giornale di Gallicano", visto il notevole successo del giornale oltre i confini comunali la redazione ha deciso di fare contenti anche gli amici “vicini di casa" e ha pensato a loro facendo così un abbonamento annuale (4 numeri) al costo di 15 €. 
Le 15 € andranno interamente a ricoprire il costo della spedizione postale a casa dell'abbonato più la tessera di socio sostenitore. 
Chi fosse interessato può scrivere all'indirizzo di posta elettronica: redazionearingo@gmail.com, lasciando nome, cognome ed indirizzo, in seguito verrà ricontattato in breve tempo dalla redazione. 

N.b.: il servizio (come detto) riguarda solamente i lettori che abitano FUORI dal comune di Gallicano.

giovedì 17 settembre 2015

E la minestrella salì sul carro

- Maestra Duse, ci dà una mano? 
- Abbiamo bisogno di lei, delle sue idee e del suo pennello. 


Quelle erano le voci del Prof. Rolando Saisi e del suo seguito: Adriano Bertoli, Lucio Ferrari, Pietrino della Flora e via, via, voci di tutti quelli che credevano nella maestra che amava Gallicano e la sua gente.
E la risposta ci fu: la Duse pensò progettò, pitturò lassù nell’altana della Giulia Carnicelli dove nelle notti “bianche” dal sapore di Palio, arrivava l’odore (spesso soltanto quello) delle profumate pizze delle donne mogli e madri.
E’ in questo clima che nacque, crebbe e brillò quel luminoso carro che si chiamò “Minestrella”; al seguito ”focacce leve” e “I cicciori”.
Fu vinto nel 1974 dal Rione Monticello il Miglior Complesso Folkloristico. La vittoria fu seguita da commenti pungenti. “Si, Palio degli scappini, che sono piaciuti a ...” (Nella sfilata, i figuranti avevano calzato gli scappini, calzatura tipica gallicanese).
Il lavoro dei contendenti si faceva sentire, ma era parte essenziale della gara che rendeva Gallicano un alveare, dove il ronzio a più colori, era sempre quello: “Quest’anno si vince noi!


Ogni paese di un territorio ha la sua storia, cultura, dialetto e tradizioni, soprattutto culinarie. Anche Gallicano è uno di questi paesi, ma per quanto riguarda la tradizione culinaria, Gallicano paese ha una sua ricetta particolare non riscontrabile in altri paesi anche al di fuori della nostra Provincia di Lucca: la minestrella. 
Questa ricetta storica ultracentenaria, che si perde nella notte dei tempi, è una minestra che può essere fatta con tantissime erbe di campo oltre trenta varietà, in gergo locale “erbi boni”. Come nasce un piatto storico con prodotti esclusivamente del territorio? Questo è un piatto con ingredienti semplici messi a disposizione da madre natura senza doverli coltivare e che l’ingegno e la conoscenza dei contadini di una volta, sapevano distinguere molto bene. 
Tutti erbi, che oggi definiamo come fitoalimurgia, nel tempo chiamati ovviamente con nomi dialettali. Questa conoscenza, tramandata oralmente da secoli di generazione in generazione, fino agli anni sessanta del secolo scorso, oggi purtroppo sta scomparendo, causa l’evoluzione industriale e tecnologica mondiale. Gallicano, nei tempi passati, era un paese di contadini e non avendo grandi poderi da coltivare, gli uomini andavano a fare anche lavori stagionali in Corsica e altre zone, pertanto le donne dovevano farsi carico, oltre che lavorare nei campi, sfamare le loro famiglie nei momenti più difficili. 
Da considerare che Gallicano, a diversità dei paesi garfagnini, era in fondovalle lungo il fiume Serchio, con poche selve di castagno e lontane, sul monte Palodina, rispetto gli altri paesi che erano contornati da castagni e avevano a disposizione più farina di neccio per nutrirsi giornalmente. 
Allora, le donne del paese, avendo questa conoscenza fitoalimurgica, rimediavano, raccogliendo nei loro campi diversi tipi di erbi e li cucinavano in vari modi. Il piatto base era composto da queste varietà di erbi lessati in acqua con fagioli giallorini e l’aggiunta, quando c’era, di un pezzetto di lardo, osso di maiale o cotenne come condimento, che trovavano in base alla stagionalità. 
Per quanto riguarda la minestrella di Gallicano, non esiste una vera e propria ricetta, in quanto gli erbi non erano mai gli stessi da una famiglia all’altra, oltre poi alla stagione di raccolta. 
In base alla possibilità di scelta di erbi amari o dolci a disposizione del momento, questa ovviamente poteva essere più o meno saporita, ma in quei tempi di miseria ovviamente non avevano tempo per queste sofisticazioni.

Riporto qui sotto la ricetta base della minestrella.


Principali erbi usati: 
Scabiosa columbaria “sporta vecchia”, Bellis perennis “margheritine”, Crepis leodontoides “tassella”, Crepis sancta “cassellora”, Crepis vesicaria “radicchiella”, Cichorium intibus “radicchio selvatico”, Cirsium arvense “stoppione”, Daucus carota “pastineggio”, Foeniculum vulgaris “finocchio selvatico”, Hypochoeris radicata “ingrassaporci”, Papaver rhoaes “rosolaccio”, Plantago lanceolata “orecchie d’asino”, Plantago major “lingua di vacca”, Ranunculus ficaria “favagello”, Reichardia picroides “sassaiolo”, Silene alba “orecchiette”, Silene vulgaris “strigolo”, Soncus asper “cicerbita”, Symphytum tuberosum “salosso”, Taraxacum officinale “piscialletto”, Campanula trachelium “pizza corni”, Lapsana communis “lassana”, Primula vulgaris “primola”, Raphanus raphanistrum “cavolo selvatico”, Rumex acetosa “zezzora”, Salvia pratensis “salvia”, Sanguisorba minor “pimpinella”, Urtica dioica “ortica”, Viola odorata “viola”. 

Ricetta per 4 persone: 
2 kg. Erbi freschi, 100 gr. Lardo, 500 gr. fagioli giallorini, aglio, cipolla, sale pepe. 
Pulire gli erbi, affogarli nell’acqua con un poco di bicarbonato per circa mezz’ora, successivamente lavarli bene e per quelli più amari lasciarli ancora circa due ore nell’acqua per togliere l’amaro. 
Lessare gli erbi, una volta lessati strizzarli dall’acqua e tagliuzzarli finemente. 
A parte fare un soffritto con aglio, cipolla, lardo tritato con uno spicchio di aglio, rosmarino, a chi piace anche del peperoncino piccante. 
Una volta imbiondito, aggiungere gli erbi, una parte dei fagioli lessati e passati a purea e una parte lasciati interi. 
Allungare tutto con acqua, una parte di quella della bollitura dei fagioli, regolare con sale e pepe. Lasciare cuocere a fuoco lentissimo per circa due ore. 
La minestrella ha una consistenza densa, ma non troppo, per dargli ancora più sapore è consigliabile prepararla qualche ora prima e farla riposare, in tal caso la sua consistenza aumenterà ed eventualmente potrà essere nuovamente allungata con acqua, magari sempre della cottura dei fagioli, per riportarla a consistenza voluta. 
Ottimo abbinamento a questo piatto, sono come da tradizione, i “mignecci”, focaccine di farina di granturco o con aggiunta farina di grano, senza lievito e cotte nei testi.

Ivo Poli

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2 luglio 2015

lunedì 14 settembre 2015

Quando le gare sportive contavano


Ho sempre pensato che l’unico Palio di San Jacopo vinto da un Rione per “meriti sportivi” fosse stato il Monticello nel 1997, anno nel quale, il “carro e sfilata” fu vinto dal Borgo Antico con “Occhio Pinocchio ai… consigli per gli acquisti!” che non bastò però a portarsi a casa il Cencio. 
I troppi terzi posti alle gare sportive del Borgo Antico, permisero al Rione Azzurro, grazie alla vittoria del “Grand Prix”, della “Staffetta femminile” e dei “Rioni senza frontiere” - ve lo ricordate il famoso “piatto di pasta asciutta dell’Otello”? – e al secondo posto del carro “la Sirena”, di strappare il Palio agli avversari. 
E invece... proprio per le gare sportive, il Monticello aveva già perso un Palio, quello del 1974, a favore del rione Bufali! Pur aggiudicandosi con “La minestrella” il 2° posto nel “Concorso A – miglior carro allegorico” ed il primo posto nel “Concorso B – miglior complesso di carri allegorici e folkloristici”, il Monticello non riuscì ad aggiudicarsi il Palio, arrivando ultimo al Calcio, ultimo alla staffetta femminile e 3° alla staffetta maschile. 
E qui ho un aneddoto da raccontarvi: il mio babbo, il Nando, mi raccontava che da giocatore aveva sempre vinto il torneo di calcio rionale. 
Negli anni ’70 vigeva la regola che potevi partecipare alle gare sportive solo nel Rione in cui avevi la residenza. 
Ebbene, nel 1974 la mia famiglia (io non ero ancora nato) abitava in Falce ed il Nando, pur di partecipare, dovette giocare con i Bufali che si aggiudicarono appunto il primo posto (Monticello 4°) e la vittoria del Cencio! 
Nel ’72 e nel ’73 il torneo di calcio fu vinto dal Monticello con il Nando a centrocampo! Un uomo, una garanzia, un portafortuna, di cui vado fiero. 

Daniele Saisi

"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano", anno 1 numero 2 luglio 2015