lunedì 22 febbraio 2016

Ricominciare da "capo"

 
Verni, piccolo paese alpestre del Comune di Gallicano.
Anche in questo piccolo paesino c’è un giovane come tanti, che per l’arrivo della crisi economica a livello mondiale, perde il posto di lavoro per chiusura dell’azienda. Ma i giovani di montagna portano nel DNA la tenacia e la voglia di fare dei vecchi avi e non si scoraggiano mai.
Palmiro Valdrighi, proprio a lui, giovane quarantenne ho telefonato.
Dove sei? ti voglio parlare.
Sono dalle mie api in Campilato.
Aspettami che vengo a trovarti.
Eccolo, intorno alle sue arnie che controlla la situazione, anche se le temperature sono ancora buone, in Campilato il sole ormai fino a primavera non si rivedrà, quindi si assicura che tutto sia a posto per l’arrivo dell’inverno.
Gli ho fatto subito la prima domanda: Da quanto tempo fai l’apicoltore?
Da tre anni.
E prima?
Prima ho lavorato presso la KME, dopo in mobilità per un anno, e ancora con una ditta di edilizia che poi ha chiuso.
Come è nata questa scelta di allevare api?
Le api mi hanno appassionato sempre anche da ragazzo e nel momento che sono rimasto senza lavoro, ho deciso di ricominciare con loro.
Ho iniziato con poche arnie, e nel frattempo ho frequentato un corso di apicoltura che mi è servito molto; senza quello oggi non avrei potuto fare questo percorso.
E le difficoltà incontrate in questi anni, anche in considerazione che questa attività è una monocoltura e come tale è molto pericolosa se andasse male per qualche calamità o altro?
Le difficoltà ci sono tutt’ora, anzi più aumenti il numero di arnie e più pericolo c’è. Oggi possiedo circa 130 arnie, ma oltre a fare miele, riproduco nuove famiglie di api, riproduco api regine, quindi diversifico un poco la produzione, certamente non posso mai voltargli le spalle.
In primavera ed estate devo essere presente per tutti i lavori che necessitano dal mattino a sera, dal controllo della loro salute a riprendere gli sciami e alla smielatura dei vari tipi di mieli. Subito dopo le smielature comincia anche la vendita del miele, con una clientela locale e anche di fuori del nostro territorio, soprattutto per il miele di acacia e castagno che in altre parti d’Italia scarseggia.
Quest’anno ho partecipato al concorso “Piana” a Bologna, riconosciuto a livello mondiale, e ho vinto la Goccia d’oro per due tipologie di miele, la “melata” e l’acacia.
In questo concorso, a chi viene attribuito questo riconoscimento, viene inserito in un libro dei grandi mieli d’Italia, come “apicoltori virtuosi” e questo porta molte richieste anche da fuori Provincia e Regione.
Nel trattamento alle mie api applico un metodo biologico anche se non lo certifico, e ho voluto partecipare a tale concorso anche perchè fanno tutte le analisi chimiche, volevo capire come era il mio miele. Con soddisfazione è risultato tutto alla perfezione, in assenza di qualunque inquinante chimico all’interno del miele.
Cosa pensi del futuro?
Credo molto nel mio lavoro e mi piace, il miele è molto ricercato, ovviamente non devo mai abbassare la guardia e impegnarmi al massimo senza contare le ore di lavoro e migliorare per crescere ancora.
 
Ivo Poli
 
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 4, Dicembre 2015.

domenica 21 febbraio 2016

...non ne ho altri di colori

I primi tentativi nel dopoguerra di rinverdire le antiche tradizioni di Gallicano,furono rivolti soprattutto alle mitiche staffette podistiche che già si svolgevano prima della guerra. I ricordi personali mi riportano al 1956 quando partecipai ad una corsa che oggi sembrerebbe inusuale. La competizione aveva luogo al termine della processione di San Jacopo che si svolgeva nel cuore del paese, nella centralissima Via Cavour. Il viadotto della Turrite ancora non esisteva ed il percorso degli atleti si sviluppava “ad andata e ritorno”. Infatti i primi staffettisti partivano “sul ponte” imboccando via Cavour fino all’allora negozio Poli, qui il cambio del testimone: avveniva frontalmente e appena ricevuta la torcia luminosa del compagno che lo incrociava, il secondo atleta partiva in senso contrario e dando il cambio successivo sul ponte, gli ultimi staffettisti tagliavano il traguardo davanti al municipio. I cambi erano particolarmente difficoltosi perchè, con tratti così brevi, i corridori erano sempre abbastanza vicini ed i quattro in partenza andavano incontro ai quattro compagni in arrivo. Si può immaginare la confusione che si verificava,considerando che non c’erano corsie e l’illuminazione era abbastanza carente all’epoca. Personalmente ricordo di essere stato investito da un avversario alla partenza, con caduta del testimone che recuperai velocemente, soprattutto non ho mai dimenticato quando arrivai al cambio “dal Poli” in salita con uno degli avversari che, partendomi di fronte in discesa, mi stese al suolo. Una delle particolarità di allora era che non esistevano suddivisioni rionali definite e partecipavano numerosi gruppi scelti fra singole località. C’erano i rappresentanti di Via Cvour, del Colletto, del Castello, del Muretto, della Mandria, di Via Serchio e così via; tant’è vero che nella stessa serata si svolgevano le fasi elimintatorie e la finale. Negli anni successivi, almeno saltuarmente continuò la tradizione della staffetta che cambiò però sfidanti e percorsi. Dopo la realizzazione della Via della Repubblica la gara diventò più lunga ed i cambi avvennero regolarmente, trasferendosi nella parte più nuova del paese, con l’arrivo davanti a “Villa Simonini”; la sfida era però soprattutto fra Gallicano ed i paesi vicini, storici avversari. Fino a quando, alla fine degli anni sessanta, l’allora Sindaco dottor Gastone Lucchesi si fece promotore della costituzione del “Comitato per i festeggiamenti di San Jacopo”. Il Comitato, che mi volle Presidente, si impegnò in varie manifestazioni, fra cui ebbe spicco un singolare ed apprezzato concorso ippico, ma soprattutto fu ripristinata l’antica tradizione della staffetta paesana. Fu in quel periodo che si iniziò a dare un certo ordine alla suddivisione del paese in rioni, che trasse in parte ispirazione dalle antiche contrade di Gallicano. Nacquero così quasi spontaneamente, ma già con un certo spirito di sfida, la Roccaforte, la Strettoia, i Bufali e la Dinamite(diventata dopo poco tempo ilMonticello).Anche il percorso divenne quello attuale,dato che nel frattempo era stato realizzato il viadotto sul torrente Turrite.E’ divertente a questo punto ricordare come avvenne la scelta dei colori rionali: qualche giorno prima della manifestazione con altri componenti del Comitato, mi ritrovai, come succedeva frequentemente, presso l’orologeria dell’amico Gualtiero Ponziani, in piazza Vittorio Emanuele, anche lui membro del Comitato. In quell’occasione fu rilevato che i rioni non disponevano di un abbigliamento decoroso per gareggiare, così mi recai nel magazzino di Frida Simonini per reperire il necessario; servivano delle cannottiere colorate per distinguere i diversi rioni. Fu abbastanza
semplice trovare quattro magliette azzurre, quattro verdi, quattro rosse, ma poi quelle colorate erano esaurite e non rimase che prenderne quattro bianche. Tornato in piazza con le cannottiere da
assegnare, furono fatti quattro biglietti, ciascuno indicante un colore ed altrettanti con i nomi dei rioni, inseriti in due scatole e chiamato un bambino che passava davanti al negozio del Ponziani,
gli facemmo estrarre gli abbinamenti. Nessuno ha mai ricordato chi fosse questo piccolo inconsapevole bambino che ha dato il via ad un appassionato attaccamento ai colori rionali. Le manifestazioni di san Jacopo hanno iniziato però ad assumere un’altra veste ed un’altra importanza dagli inzi degli anni settanta, quando fu fondata la Proloco. Il nostro paese incominciò a vivere fasi entusiasmanti in particolare nell’ambito del folklore, nella cura dell’immagine e nel recupero delle tradizioni. Era cresciuto l’orgoglio ed il senso di appartenenza al rione, oltre al forte sentimento con cui la popolazione viveva la serata della staffetta. I rioni iniziarono fin dal giorno precedente la “Luminara” a scorazzare per il paese con stravaganti figure e sorprendenti marchingegni che esaltavano il proprio rione deridendo gli altri. A Sant’Andrea, con Giuliano Brogi, avevamo rivestito di cartone l’Ape di Roberto Biagi, dipingendola e colorandola in modo da assomigliare all’arco conosciuto come “Arco di Francesco V duca di Modena”. La realizzazione era stata appositamente eseguita in un’aia adiacente alla strada di Sant’Andrea (l’Aia del Palletta), in modo da esser vista da chiunque per stimolare la creatività degli altri rioni. Queste iniziative rionali ebbero un tale successo che spinsero la Proloco nascente a far confrontare i rioni con il loro
spirito creativo, la capacità realizzativaed il grande impegno di tantissimi che hanno portato il Palio nel suo complesso, all’attuale straordinario successo.

Pierluigi Angelini

sabato 13 febbraio 2016

L'Aringo numero 4 - versione digitale

In attesa del primo numero dell'anno 2016, postiamo per tutti la versione digitale del numero 4.
Buona lettura!

 

venerdì 12 febbraio 2016

Tracce di un mondo perduto (1a puntata)

Diario del CHELI

Nulla è più difficile che cancellare tutte le tracce del tempo passato, speso a domare la vita, rispettando le sue regole e accettando i suoi capricci.
Sono nato nel 1966 troppo tardi per vivere a pieno la vita rurale, ma in tempo per respirare gli ultimi odori di un mondo che sta scomparendo, sconfitto da una modernità che ci regala comodità in cambio del nostro tempo. Ho percepito il cambiamento della società, non sulla mia pelle, ma osservandolo mentre mi scorreva davanti, lento e inesorabile, come un cane affamato che divora il suo pasto. Ormai i bambini sono immersi nella società appena nati, subito grandi, seguono le mode e non vivono e forse non hanno più tempo per vivere l’infanzia-adolescenza come la mia.
Navigando tra i ricordi riesco a sentire ancora la campanella della scuola che annunciava l’inizio della giornata, di corsa fino a casa, un boccone e via.
Eravamo i ragazzi di Via Roma, Alessandro, Antonio, Corrado, Gabriele, Leandro, Massimiliano, Riccardo e Vincenzo, una allegra compagnia con tanta voglia di divertirsi. Il nostro luogo di ritrovo era il mio giardino, dove avevamo ricavato una piccola spiaggia che accoglieva le gare di formula uno, i giri d’Italia e all’occorrenza si trasformava in campo di battaglia per gli eserciti di soldatini.
Il nostro fornitore di giochi era il negozio del Gianni sito in Via Cavour, una posizione strategica nel paese vicino alla piazza principale, un passaggio obbligato per le mamme di ritorno dalla rosticceria, che risparmiando di cucinare un pasto dovevano pagare pegno.
La tattica era precisa, quando la mamma si avvicinava al negozio allungava il passo, era il momento di entrare in massima frenata e con uno scatto laterale inforcare la porta e salutare il Gianni, a quel punto il più era fatto.
Il titolare, mio mezzo parente ci accoglieva con un sorriso a trentadue denti, colloquiava con la mamma, mentre il bamboretto poteva dedicarsi alla scelta del giocattolo del giorno.
Il negozietto era stracolmo, soldatini di plastica, modellini di formula uno, palline con i ciclisti, giochi in scatola, armi giocattolo, c’era l’imbarazzo della scelta, e di sicuro non si usciva mai a mani vuote.
Nel corso degli anni di questi giocattoli ne abbiamo macinati diversi e del magnifico arsenale che avevo non ne è rimasto che piccole tracce, ma basta solo un soldatino ritrovato per far scattare il sorriso felice del “bimbo Riccardo”.

Continua...

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